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mercoledì, luglio 19, 2006

Leucemia, arrivano nuovi farmaci «intelligenti»


MILANO
– Anche i malati che diventano resistenti all’imatinib (meglio noto come Glivec), il farmaco che ha modificato radicalmente il destino delle persone colpite dalla leucemia mieloide cronica e dal tumore gastrointestinale stromale, possono sperare in una terapia efficace, basata su due molecole chiamate dasatinib e nilotinib, che hanno lo stesso meccanismo d’azione del progenitore, ma che presentano alcuni vantaggi significativi e sembrano in grado di superare la resistenza insorta. I due farmaci sono stati oggetto di importanti sperimentazioni, che hanno convinto la Food and Drug Administration (FDA, l’equivalente americano del nostro Ministero della Salute) ad attivare una procedura di approvazione accelerata, in particolare, per il dasatinib: questo farmaco verrà dunque utilizzato negli Stati Uniti per curare la leucemia mieloide cronica e quella linfoblastica acuta, nei pazienti diventati resistenti al Glivec. Per il nilotinib la Food and Drug Administration e l’omologa agenzia europea (l’EMEA) dovrebbero esprimersi tra la fine di quest’anno e l’inizio del 2007. Intanto, sia il nilotinib che il dasatinib sono stati inclusi nelle liste dei “farmaci orfani” dell’FDA statunitense e dell’EMEA europea, cioè tra i medicinali per il trattamento di patologie gravi e rare, che possono giovarsi di una procedura di approvazione centralizzata e più rapida, e di incentivi per facilitarne l’introduzione nel mercato.

LE SPERIMENTAZIONI - I due studi di cui parlavamo sono stati condotti da un team di ematologi dell’MD Anderson Cancer Center di Houston (Stati Uniti), e i risultati sono stati di recente pubblicati sul New England Journal of Medicine. Nel primo il dasatinib è stato sperimentato in 40 pazienti la cui malattia era diventata cronica e in 44 pazienti con una leucemia in proliferazione attiva, ottenendo una risposta ematologica completa o sostanziale nella gran parte dei casi; il farmaco è stato inoltre in grado di agire anche sulle alterazioni genetiche alla base della malattia in una buona percentuale di malati. Nel secondo studio, oggetto della sperimentazione è stato il nilotinib. Un centinaio di malati con una leucemia resistente al Glivec oppure linfoblastica acuta hanno ricevuto diversi dosaggi del farmaco, al fine di verificare l’esistenza eventuale di una tossicità e di stabilire quale fosse il protocollo migliore. Anche in questo caso la nuova molecola si è rivelata attiva tanto nei malati con leucemia cronica quanto in quelli in crisi blastica, agendo sui parametri del sangue e sulle alterazioni genetiche. In entrambe le sperimentazioni gli effetti collaterali più comuni sono stati a carico del midollo e del fegato, oltre ad alcune eruzioni cutanee.

COME FUNZIONANO - Glivec, dasatinib e nilotinib agiscono su un enzima che svolge un ruolo fondamentale per la vita della cellula cancerosa: la tirosin chinasi BCR-ABL, che aggiunge fosforo ad alcune proteine, e così facendo innesca processi indispensabili alla proliferazione del tumore. Il glivec si aggancia allla tirosin chinasi, bloccandone l’attività, ma la cellula cancerosa riesce talvolta a modificare il punto in cui avviene questo legame, diventando così resistente e sfuggendo all’azione terapeutica. Il nilotinib forma un legame molto più forte con l’enzima, e risente meno delle modifiche indotte dalle cellule cancerose. Nel dasatinib, invece, le cose vanno un po’ diversamente, anche perché il farmaco era stato in origine progettato per bloccare un’altra tirosin chinasi, detta SRC. Testato sulla BRC-ABL, si è dimostrato molto attivo e i test preliminari hanno spinto l’azienda farmaceutica che lo produce a provarlo sui malati.

GLIVEC IN PENSIONE? NIENTE AFFATTO - Siamo quindi in presenza di molecole che potrebbero presto sostituire il Glivec? Sportello Cancro lo ha chiesto a Franco Mandelli, ematologo dell’Università La Sapienza di Roma e presidente dell’Associazione italiana contro le leucemie, grande esperto di Glivec, che spiega: «Di sicuro si aprono buone prospettive di cura per tutti coloro che non possono più beneficiare del Glivec, e cioè circa il 16 per cento dei malati con malattia cronica trattati con l’imatinib, che hanno una ricaduta entro cinque anni. Ciò però non significa che sia già giunta l’ora di mandare in pensione il Glivec: occorreranno ancora molti studi, confronti, tentativi, prima di potersi esprimere, ed è probabile che alla fine tutte e tre queste molecole resteranno a disposizione dei malati, ciascuna da utilizzare a seconda della situazione specifica o quando un’altra ha fallito. Ora - commenta ancora Mandelli - bisognerà capire se, come sembra, le nuove molecole sono in grado di assicurare una guarigione completa, cosa che il Glivec non sempre riesce a fare, obbligando il malato a una terapia che teoricamente dura tutta la vita».

L’Italia è all’avanguardia in queste ricerche, grazie anche al lavoro svolto dal Gruppo di studio sulla leucemia mieloide cronica presieduto da Michele Baccarani, direttore dell’Unità operativa di ematologia dell’Ospedale Sant’Orsola Malpighi di Bologna. Questo ha fatto sì che il nostro sia stato uno dei primi Paesi ad adottare rapidamente, nella pratica clinica quotidiana, il Glivec. «Oggi - aggiunge Mandelli - i malati possono beneficiare di questo farmaco, che ha sostituito quasi del tutto le terapie precedenti basate su interferone e trapianto. Le vecchie cure non davano grandi risultati; al contrario il Glivec, da subito rimborsato dal Servizio sanitario nazionale, assicura tassi di remissione del tumore attorno al 90 per cento e percentuali simili per la sopravvivenza a cinque anni: il tutto con effetti collaterali assai ridotti, rispetto alla chemioterapia tradizionale».


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