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lunedì, agosto 28, 2006

Diabete e Tumore

Il diabete aumenta il rischio di malattia epatica cronica e di carcinoma epatocellulare
Uno studio coordinato da Ricercatori dello Houston Veterans Affairs Medical Center ha valutato l’associazione tra il diabete e la malattia epatica cronica.Sono stati identificati tutti i pazienti che tra il 1985 e il 1990 sono stati dimessi dall’ospedale con una diagnosi di diabete.
Questi pazienti sono stati seguiti fino al 2000.Sono stati esclusi i soggetti affetti da concomitante malattia epatica.I soggetti presi in esame sono stati 173.643 con diabete e 650.620 senza diabete.
La maggior parte ( 98% ) era di sesso maschile e quelli affetti da diabete erano più anziani rispetto a quelli senza diabete ( 62 versus 54 anni ).
L’incidenza di malattia epatica cronica non-alcolica è risultata molto più alta tra i pazienti diabetici ( 18.13 contro 9.55, rispettivamente, per 10.000 persone-anno ).
Simili risultati sono stati ottenuti per il carcinoma epatocellulare ( 2.39 contro 0.87, rispettivamente, per 10.000 persone-età ).Il diabete era associato ad un indice di rischio ( hazard rate ratio , HRR ) di 1.98 per la malattia epatica cronica non-alcolica e di 2.16 per il carcinoma epatocellulare.
I pazienti con diabete da più di 10 anni presentavano il massimo rischio.Questo studio ha dimostrato che tra gli uomini affetti da diabete il rischio di malattia epatica cronica non-alcolica e di carcinoma epatocellulare è raddoppiato.




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giovedì, agosto 24, 2006

Nicotina e Cancro

Sebbene la nicotina contenuta nel tabacco non avesse dimostrato effetti cancerogeni diretti , i ricercatori hanno sospettato per molti anni che essa avesse un ruolo nel promuovere la crescita tumorale. Recentemente uno studio Statunitense ha aggiunto nuove prove a questa teoria. Questi nuovi dati richiamano l’attenzione sull’uso a lungo termine della nicotina come terapia sostitutiva nella disassuefazione dal tabacco. I ricercatori del National Cancer Institute di Bethesda e del Lovelace Respiratory Research Institute di Albuquerque hanno studiato gli effetti della nicotina e del NNK, una sostanza cancerogena specifica del tabacco, su colture di cellule epiteliali bronchiali umane normali.

Basandosi su precedenti studi che avevano dimostrato l’attività del sistema enzimatico Akt nelle cellule di cancro del polmone prelevate da fumatori i ricercatori hanno ipotizzato che composti come la Nicotina e NNK potessero avere effetto sul sistema enzimatico Akt anche nelle cellule normali del polmone. Il sistema enzimatico serina/treonina kinasi Akt regola diverse attività cellulari come la crescita cellulare e l’apoptosi. L’ipotesi formulata dai ricercatori è che le cellule con danni al DNA in presenza di Akt attivata possono più facilmente sopravvivere e crescere e quindi possono accumulare altri danni al DNA promuovendo la trasformazione da cellule precancerose a cellule cancerose. I risultati dello studio hanno dimostrato che le concentrazioni di nicotina e di NNK pari a quelle che si raggiungono nel sangue dei fumatori attivano la cascata enzimatica dell’Akt. L’attivazione dell’Akt avviene in pochi minuti e rende le cellule epiteliali normali dell’epitelio bronchiale più simili alle cellule cancerose .L’apoptosi viene inibita e viene stimolata la crescita delle cellule malate .Lo studio dimostra che lo sviluppo del cancro del polmone è più complesso di quanto si pensasse prima e che l’attivazione dei segnali di trasduzione a livello cellulare contribuisce alla cancerogenesi tabacco correlata. Lo studio potrebbe aprire, inoltre ,un nuovo filone di ricerca per farmaci antitumorali. Alcuni hanno suggerito per la nicotina un nuovo meccanismo d’azione nella cancerogenesi che implicherebbe la promozione dello sviluppo dei vasi tumorali. La scoperta che la nicotina possa promuovere la crescita tumorale ha implicazione per i consumatori dei sistemi di rilascio della nicotina? Questi prodotti sono sicuri?

Per quanto emerge dagli studi attuali non ci sono ancora motivi per controindicare l’uso dei dispositivi di rilascio della nicotina per le 10 o 12 settimane previste per la terapia sostitutiva in corso di sospensione del fumo di tabacco e i vantaggi della cessazione del fumo sono senz’altro maggiori dei rischi associati nel breve periodo all’assunzione della nicotina. Oltre tale periodo non possiamo affermare che l’uso della nicotina sia sicuro.

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mercoledì, agosto 16, 2006

Oncologia, "rivoluzione" dai mass-media

La "rivoluzione sanitaria" degli ultimi anni, ha portato il paziente al centro della sanità, ha incoraggiato la comunicazione sociale sulla salute e ridimensionato alcune tematiche come quelle oncologiche. Infatti il Censis, con il Cipomo (Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri), ha condotto un'analisi delle caratteristiche delle comunicazioni oncologiche, con particolare riferimento a quelle condotte "a mezzo stampa" dal 1970 e dintorni (La Repubblica, Corriere della Sera e alcune trasmissioni Rai).

La forte domanda di informazione esercitata dai cittadini su problemi relativi ai tumori si è tradotta in un'offerta sempre più articolata e multiforme. "La comunicazione sulla salute in genere", dice Giorgio Cruciali, neo presidente della Cipomo, "ha assecondato e favorito l'evoluzione del rapporto cittadino-medicina-salute. Il paziente è oggi più consapevole e, grazie ai mass-media, può fare scelte, concordate con il medico, per organizzare una terapia individuale".
I mezzi di informazione illustrano e raccontano le innovazioni in oncologia e i più recente ritrovati anti-tumorali.

Televisioni e giornali, dopo i professionisti del settore, sono le fonti di informazione sanitaria non professionale che, per la loro ascendenza e conoscenza del sociale, finiscono con il modificare il comportamento pubblico de rendendosi uniche e preziose: "Una mutazione", dice Concetta Maria Vaccaro, responsabile del settore Welfare Fondazione Censis, "dovuta all'acquisizione di informazioni su "quella patologia" favorita anche dalla forte differenziazione operata dai quotidiani che riportano più del 20% di articoli legati alla prevenzione oncologica, che superano il 40% quando pubblicati sui settimanali".

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venerdì, agosto 11, 2006

Da un’alga dei mari del nord una difesa per l’utero

La carragenina, usata come addensante alimentare, inibisce l’azione del virus HPV. Verrà studiato un gel vaginale protettivo. da un articolo di :Donatella Barus

MILANO – Si chiama carragenina, si ottiene dalla bollitura di alcune varietà di alghe marine presenti lungo le coste rocciose dei mari del nord ed è ampiamente usata come addensante dall’industria alimentare e cosmetica, con la sigla E407.

Ma ha destato l’interesse anche dei medici perché promette di essere un deterrente contro il papilloma virus umano, in sigla HPV, noto come il principale responsabile delle infezioni che possono portare ad un tumore del collo dell’utero. Un effetto preventivo che la rivista Nature ha definito “sorprendente”, dal momento che il contagio del virus, trasmesso attraverso l’attività sessuale, viene ostacolato anche con una piccola quantità di carragenina, un ingrediente facile da reperire, economico e che pare agire a concentrazioni molto più basse rispetto ai prodotti attualmente in commercio.

I ricercatori del laboratorio di oncologia cellulare del National Cancer Institute di Bethesda (Stati Uniti), hanno scoperto le qualità di questo estratto di alga durante il lavoro di analisi su diversi composti inibitori dell’HPV. La carragenina agisce impedendo al virus di legarsi alle cellule della cervice uterina ed è già in sperimentazione per un analoga capacità di bloccare il virus HIV, responsabile dell’AIDS.

La carragenina è contenuta in diversi tipi di gel lubrificanti vaginali, attualmente in commercio, che vengono classificati come sicuri dalle autorità sanitarie: un aspetto che, come sottolineano gli esperti, avvicina la prospettiva di avere presto a disposizione un microbicida topico in forma di gel. Gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista Public Library of Science Pathogens, specificano che serviranno studi clinici specifici prima di poter raccomandare come inibitore dell’HPV un prodotto a base di carragenina.

Intanto, come dicevamo, proseguono le sperimentazioni anche sul virus HIV, la più importante delle quali coinvolge oltre 5.000 donne in Sudafrica epermetterà di valutare, entro il 2007, l’efficacia di un gel vaginale contenente carragenina per prevenire l’infezione. Come l’AIDS, anche i tumori della cervice uterina (che in Europa e negli Stati Uniti sono stati frenati dalla diffusione degli screening con il PAP test) rappresentano un grave problema per i Paesi meno sviluppati.

Secondo N. K. Ganguly, capo dell’Indian Council of Medical Research, se la carragenina venisse aggiunta ad un inibitore dell’HIV, potrebbe rappresentare un’importante arma preventiva contro le malattie sessualmente trasmesse. Ma altre ricerche sono ancora necessarie.

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sabato, agosto 05, 2006

Terapia chelante

a cura della Dott.Virginia A.Cirolla*

La chelazione e' un processo che s'incontra frequentemente in natura, nel quale metalli inorganici come ferro, platino, formano complessi con la materia organica.

Il suo utilizzo terapeutico ha avuto inizio nel 1893, sulla scia del nobel Werner che ipotizzo' la formazione di un anello stereotrofico, diverso dal modello di valenza, nel processo di chelazione. Nel 1955 il Dott.Clark informava la comunita' scientifica dei benefici dell'EDTA per curare i disturbi circolatori e cardiovascolari. Quel gruppo pionieristico fondo' quella che oggi e' l'ACAM (American College of Advancement in Medicine) e che comprende oltre 1000 medici specializzati nell'uso terapeutico della Terapia Chelante, oltre ad una buona conoscenza dei trattamenti nutrizionali per le malattie vascolari, degenerative e dell'invecchiamento tessutale.

Sono in corso studi ammessi dalla FDA per dimostrare l'innocuita' dell'EDTA. (Etilediaminotetracetato)

Oggi la chelazione e' utilizzata per eliminare dal corpo umano metalli tossici (Piombo, Mercurio, Cadmio, Alluminio) e per fermare il processo di aterosclerosi.

Un meccanismo d'azione consiste nella rimozione del calcio dalla placca aterosclerotica senza sottrarlo la' dove e' fondamentale per i normali processi dell'organismo e stimola la circolazione del sangue attivando il microcircolo.

Eliminando i metalli di transizione produce un effetto antinfiammatorio diminuendo i radicali liberi che sappiamo come molecole distruttive e lesive nei tessuti. Questa terapia inserita nei protocolli SITEC (Societa' Italiana di Terapia Chelante) unisce un insieme di farmaci antiossidanti e disintossicanti, utilizzati oltre che nelle malattie cardiovascolari anche nelle patologie degenerative ed autoimmuni come l'artrite reumatoide e la sclerosi multipla. E' proprio la sclerosi multipla considerata un mercurialismo cronico a risentire in positivo della terapia chelante.

In Oncologia la sua applicazione ha trovato negli ultimi anni risultati positivi per il suo ruolo di protezione immunitaria e si e' rivelata utile sia nella prevenzione sia negli aspetti terapeutici anche dopo cicli di chemioterapia.

Come terapia e' assolutamente innocua se praticata da mani esperte; deve essere somministrata per endovena lenta per tre ore circa con un frequenza media di una volta a settimana. Nella maggior parte dei pazienti in cui e' stata utilizzata, questa terapia ha provocato un miglioramento della circolazione cerebrale e periferica, un miglioramento della memoria e delle capacita' cognitive, della vista per deficit su base vascolare, riduzione significativa della mortalita' per tumore (come terapia preventiva), una disintossicazione dai metalli pesanti ed un beneficio effetto sulla vitalita' e sullo stato di salute in generale.

*Universita' La Sapienza

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mercoledì, agosto 02, 2006

Tumori: scoperte staminali nocive

Responsabili delle recidive nel cancro

Cellule staminali non sono sempre sinonimo di positività. Nell'immaginario comune quando si sente parlare di cellule staminali si pensa sempre alla ricerca su cellule bambine in grado di fare prodigi trasformandosi nei tessuti di volta in volta necessari, ma non è sempre così. Sono state identificate le cellule staminali cosiddette cattive, responsabili della crescita del tumore. La massa tumorale contiene, infatti, al suo interno, un nucleo di cellule progenitrici capaci di riprodursi e resistenti ai trattamenti anti-cancro. Mille volte più potenti delle cellule tumorali normali, queste staminali cattive sarebbero responsabili della ripresa della malattia dopo un intervento chirurgico o il trattamento farmacologico.

Cellula staminale

Lo studio, tutto italiano, su staminali adulte e rivolto al cancro del seno, è stato condotto dal team del Dipartimento di oncologia sperimentale di Marco Pierotti dell'Istituto nazionale tumori di Milano e pubblicato su Cancer Research. "Abbiamo messo a punto un modello sperimentale, sfruttando 14 frammenti chirurgici di donne operate per tumore - spiega Pierotti, illustrando la ricerca condotta da Dario Ponti, in occasione degli 80 anni dell'Int - e ottenendo così una serie di 'mammosfere"'.

Queste cellule staminali, presenti in una minima frazione nella massa tumorale e identificabili in base all'espressione di due antigeni sulla membrana cellulare, sono in grado di riprodurre nei topi lo stesso cancro di origine, anche quando vengono inoculate a bassissime concentrazioni. "Ne bastano mille, rispetto al milione di cellule totali necessarie altrimenti", spiega il ricercatore. Poche cellule umane per far ammalare i topolini, dunque. E all'Istituto sono riusciti non solo a isolare le staminali cattive, ma anche a sviluppare un modello in vitro che ne consente l'espansione. Queste super-cellule tumorali, che come le staminali buone si autorinnovano e generano cellule con diversi tipi di differenziazione, crescono e migrano: "non proliferano molto e tendono a essere quiescenti, lasciando alle loro cellule-figlie il compito di accrescere la massa tumorale".

Inoltre, in genere sono resistenti ai farmaci e alle radiazioni. "Averle individuate - dice Pierotti - consente di sviluppare nuove terapie per andare alla radice dell'insorgere del tumore, distruggerle ed evitare che la neoplasia si riformi".

Insomma, è il primo passo verso la messa a punto di reagenti utili per la diagnosi precoce, ma anche per terapie mirate a battere la componente staminale del tumore. Ma i ricercatori dell'Int hanno lavorato anche sulle staminali buone contro linfomi e leucemie.

Oggi il 50% delle persone con malattie onco-ematologiche viene trapiantato. Ma l'impianto di cellule staminali emopoietiche da donatore compatibile 'classico' comportava alte dosi di chemio e radio pre-trapianto, con alti rischi per i pazienti non più giovani. "Così abbiamo riadattato le dosi di farmaci pre-trapianto. E abbiamo condotto uno studio multicentrico su 150 pazienti sottoposti a trapianto da donatore familiare dal '99 al 2004", spiega Paolo Corradini dell'Int. Ebbene, sia per i pazienti giovani che per gli over 55 la percentuale di sopravvivenza è risultata identica. "Insomma, i risultati dello studio in corso di stampa sul Journal of Clinical Oncology - conclude il ricercatore - indicano che il trapianto allogenico a ridotta intensita' e' una procedura fattibile anche nei pazienti fino ad oggi esclusi dalla procedura". In futuro lo studioso pensa al trapianto di popolazioni cellulari riparatrici, e non di tutto il midollo, e anche all'uso di donatori non compatibili.

tratto da:www.tgcom.it
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