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mercoledì, novembre 14, 2007

Terapie Psicologiche in Oncologia

La neonascente Psiconcologia
Dalla ricerca di:
Dott.ssa Lucia Toscano
Psicologo Psicoterapeuta Dirigente. Presidio Ospedaliero "San Luigi - Santi Currò"
Azienda Ospedaliera di rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione
Ospedali: Garibaldi - San Luigi Santi Currò - Ascoli Tomaselli. CATANIA

Lo scopo della terapia psicologica in oncologia è quello di contemperare qualità e quantità di vita del malato, valutandone le possibilità di adattamento, attraverso l'individuazione dei bisogni che investono prevalentemente la sfera psichica; per conseguire tale scopo occorre analizzare gli aspetti propri della personalità del paziente, in riferimento allo specifico momento del suo quadro clinico.

Una terapia psicologica inizia, quindi, con l'esame oggettivo dello status clinico (terapia chirurgica, medica o radioterapia, fase della malattia, fallow-up, eventuali recidive). Ciò consentirà di cogliere meglio il momento dell'insorgenza della crisi dell'ammalato e di comprenderne le motivazioni.

Per lo più, la crisi deriva dalla percezione del cambiamento della relazione con il proprio corpo, con il proprio io, con la propria famiglia o con il proprio ambiente di lavoro o sociale: una presa di coscienza della propria vulnerabilità che lo segnerà per sempre, sia nel modo di intendere la vita che nell'attribuzione di nuovi significati ad antichi valori.

In una ricerca svolta presso il Dipartimento Oncologico "San Luigi - Santi Currò" di Catania, su un campione di circa 200 pazienti*, è emerso che le più frequenti manifestazioni della crisi del malato oncologico sono il rifiuto, la depressione o l'ansia.

Il rifiuto, ovvero la negazione della propria malattia, se per un verso ha un'incidenza minore sugli aspetti psicologici dell'ammalato, di converso rappresenta un grave ostacolo a quella compliance indispensabile nella fase terapeutica.

La depressione, di converso, spesso assume le connotazioni della rassegnazione, la perdita di motivazioni e di emozioni tale da indurre il paziente a un declino psicofisico irreversibile, con effetti devastanti sia su un piano terapeutico che relazionale.

L'ansia, invece, si manifesta come paura della solitudine, della perdita delle capacità fisiche, delle menomazioni o mutilazioni, delle capacità e possibilità affettive, della propria morte. Lo scontro tra queste fobie e la speranza di una più o meno probabile guarigione, implicano una voglia di vivere che si incunea nella sua sofferenza e che fornisce al terapeuta la possibilità di fare perno sulla stessa per scuotere il malato, facendogli ricostituire un equilibrio che gli permetta di affrontare in modo nuovo la sua condizione.

Esaminato il quadro clinico, lo psicoterapeuta deve valutare tutte le componenti utili ad avere una visione completa del paziente. Dovrà quindi individuare il profilo della personalità del soggetto, con particolare attenzione alle componenti dominanti, quali la passività o la reattività, per passare dopo al rapporto vero e proprio con la malattia. E' in questa fase che occorre individuare i bisogni (per ragioni di sintesi si fa riferimento solo ai bisogni psicologici) del paziente, che sono spesso di natura terapeutica -ovvero dipendenti dagli interventi clinici e chirurgici- e assistenziale.

Ed ecco perché la psicoterapia oncologica o, come si tende ormai a definirla, la psiconcologia è volta al coordinamento delle figure professionali e relazionali che ruotano attorno al malato di cancro.

Il bisogno primario del malato oncologico è la unicità della cura e dell'assistenza; il frazionamento delle competenze professionali ha in passato impedito il consolidamento di una cultura che ponesse al centro dell'attenzione il soggetto ammalato, rispetto alla malattia. La svolta si fa faticosamente strada, ma dovrà necessariamente imporsi, se l'obiettivo è quello di migliorare concretamente la q.d.v. del malato.

Per chiarire meglio il concetto, basti soffermarsi sulla utilità della comunicazione e di una relazione franca e leale tra il medico e il paziente: tutti gli studi concordano nel ritenere (attraverso verifiche svolte) che una buona relazione riduce sicuramente la depressione nel malato. Rilevando l'importanza della comunicazione, la Divisione di Oncologia Medica dell' A.O. di Parma ha in corso un monitoraggio, su tutto il territorio nazionale, delle attitudini di oncologi e altri operatori professionali verso queste tematiche, e ha predisposto corsi di addestramento con lo scopo di fornire un modello efficace di informazione e supporto ai malati oncologici e ai loro familiari.

A proposito dei familiari, la terapia psicologica va rivolta anche a costoro, sia per favorire il loro adattamento alla malattia del congiunto, sia per quest'ultimo al fine di fargli percepire la presenza e l'affetto partecipe dei suoi cari. Occorre rilevare, infatti, che la paura della solitudine e l'ansia dell'abbandono sono componenti molto frequenti nel malato di cancro.

Le problematiche, finora accennate, non possono rappresentare nell'interezza e nella complessità delle tematiche connesse tutti gli aspetti della psicoterapia oncologica, né è possibile individuare regole generali universalmente valide perché ogni ammalato ha una storia e un vissuto personale unico e irripetibile, quand'anche limitato alla storia e al vissuto della malattia.

Ma è certamente possibile enunciare un principio sicuramente valido: un operatore, medico o sanitario, nell'approccio con il paziente oncologico, deve essere necessariamente in grado di capire l'ammalato, di comprenderne i bisogni e soddisfare quelli che rientrano nelle proprie competenze e possibilità, attivando un intervento che si inserisca, uniformandovisi, in quel lavoro di équipe multidisciplinare che appare, almeno allo stato attuale, il più efficace da un'ottica psicoterapeutica.

* Il campione è rappresentato da 201 pazienti sottoposti a psicoterapia, dei quali 62 in reparto chirurgico, 65 in reparto medico, 71 in day hospital e 13 in ambulatorio. La metà del campione è di sesso maschile e l'altra metà (per l'esattezza 101) di sesso femminile. L'età è compresa tra i 21 e gli 80 anni, con prevalenza (il 75%) tra i 40 e 65 anni di età. Il gruppo di confronto, che non aveva subito interventi psicoterapeutici, è, invece, rappresentato da 100 pazienti con analoghe caratteristiche di sesso, di età e patologiche. La ricerca tendeva ad accertare gli aspetti psicologicamente rilevanti e i bisogni del malato oncologico, con l'obiettivo di cogliere eventuali differenze tra i primi ed il gruppo di controllo. I risultati, in corso di elaborazione statistica, relativi all'ansia e alla depressione, mostrano una riduzione dell'una e soprattutto dell'altra nei pazienti in trattamento psicoterapeutico, in modo inversamente proporzionale alla fase di avanzamento della malattia.

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