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mercoledì, ottobre 17, 2007

Ipnosi, un’alleata contro il dolore

I dati di uno studio pubblicato dal Journal of the National Cancer
Tratto dal: Il Corriere un articolo di:Vera Martinella

Permette di alleviare l’ansia e ridurre gli analgesici, in alcune terapie oncologiche. Diversi ospedali italiani la utilizzano.

MILANO – Non solo farmaci per contrastare la sofferenza durante e dopo un’operazione chirurgica. Secondo uno studio americano recentemente pubblicato sul Journal of the National Cancer Institute, una breve seduta di ipnosi prima di un intervento allevia l’ansia e il dolore, permettendo di somministrare una minor quantità di analgesici e traducendosi in un’esperienza meno traumatica per le pazienti e meno costosa per l’ospedale. Precedenti ricerche avevano già suggerito che l’ipnosi potesse contribuire ad alleviare problemi di varia natura, aiutando le pazienti a rimettersi più in fretta e, quindi, accorciandone la degenza ospedaliera. Quest’ultimo studio, condotto dai ricercatori della Mount Sinai School of Medicine di New York, ha verificato l’efficacia della tecnica su cento donne che dovevano sottoporsi ad una biopsia chirurgica o all’asportazione di un nodulo al seno e che, prima della procedura, sono state coinvolte in una seduta d’ipnosi: 15 minuti durante i quali le pazienti sono state indotte ad uno stato di relax e sensazioni piacevoli e hanno ricevuto suggerimenti su come ridurre la percezione di dolore, nausea e affaticamento. Altre cento pazienti, invece, si sono limitate ad un breve dialogo con uno psicologo. I risultati, secondo i ricercatori, sono stati chiaramente migliori nel gruppo-ipnosi, per il quale è bastata un’anestesia più leggera e una quantità di sedativi ridotta. Inoltre, le partecipanti hanno riferito meno disturbi emotivi e minori effetti collaterali dopo l’intervento. Secondo gli autori, l’ipnosi ha permesso di risparmiare circa 773 dollari (oltre 540 euro) a paziente.Ma quale “magia” si nasconde dietro a questi meccanismi? Niente sguardi magnetici o potenzialità irrealistiche, tengono a precisare gli esperti. «Tramite l’ipnosi si può accompagnare virtualmente il malato in una condizione di benessere, stimolandolo ad evocare situazioni piacevoli, in modo tale che, dopo l’intervento o anche al risveglio, quando è necessaria un’anestesia generale, la sua percezione del dolore sia minore» risponde Luisa Merati, responsabile del Centro Medicina Psicosomatica presso l’ospedale San Carlo di Milano, che organizza sedute ipnotiche, individuali o di gruppo, con pazienti oncologici (le prestazioni sono rimborsate dal servizio sanitario nazionale e, in ogni caso, i malati di cancro sono esenti dal ticket). «Allo stesso modo – prosegue - è possibile aiutare il paziente a combattere gli eventuali sintomi fastidiosi sia dell’operazione che della chemioterapia. O, ancora, tramite tecniche di rilassamento si può offrire un sostegno psicologico “potenziato”, per superare i momenti difficili della malattia, inducendo calma e ottimismo per contrastare ansia e paura». Una soluzione altrettanto efficace può essere quella di insegnare ai malati a praticare l’auto-ipnosi (una tecnica simile al training autogeno e alle tecniche di meditazione), grazie alla quale i pazienti dovrebbero riuscire a scivolare in uno stato di benessere quando ne hanno bisogno, in day hospital per le sedute di chemioterapia o quando serve un aiuto a casa contro stanchezza cronica, nausea, debolezza.Le potenzialità dell’ipnosi sono già applicate in altri ambiti (per smettere di fumare, perdere peso o contro alcuni disturbi della psiche) e, gradualmente, vengono riconosciute anche in Italia come valide terapie complementari, utili se affiancate ad interventi di altro tipo. A utilizzare questa tecnica sui pazienti oncologici, infatti, sono già diverse strutture, fra cui l’Istituto Nazionale Tumori e l’ospedale San Raffaele di Milano, l’azienda ospedaliera Brotzu di Cagliari, l’ospedale Umberto I di Lugo di Romagna (Ravenna), l’azienda ospedaliera Molinette di Torino e gli ospedali di Legnago (Verona), Garbagnate (Varese) e Varese. «Al pari di agopuntura e massaggi, le tecniche ipnotiche sono mezzi utili ed efficaci contro il dolore e gli effetti indesiderati delle terapie - commenta Furio Zucco, presidente della Società Italiana di Cure Palliative. - Ma credo che in Italia ci si debba prima occupare dell’abc delle cure analgesiche, per le quali c’è ancora molto da fare: serve, prima di tutto, la prescrizione dei farmaci oppiodi con il ricettario del Servizio Sanitario Nazionale, mentre oggi si usa ancora un ricettario speciale che molti medici di famiglia neppure vanno a ritirare. E bisogna incoraggiare l’immissione sul mercato dei derivati della cannabis, recentemente approvati con un decreto ministeriale». www.psicolife.com Psicologia e Ipnosi Terapia a Firenze

giovedì, ottobre 11, 2007

Cause di cancro nel mondo

valutazione comparativa del rischio associato a nove fattori di rischio comportamentali e ambientali

di Goodarz Danaei, Stephen Vander Hoorn, Alan D Lopez, Christopher JL Murray, Majid Ezzati, e il Comparative Risk Assessment Collaborating Group (Cancers)

Premesse

I progressi nel trattamento del cancro non sono stati efficaci,in termini di riduzione della mortalità,quanto quelli conseguiti per altre malattie croniche; solo per pochi tipi di cancro si dispone di metodi di screening efficaci. La prevenzione primaria attraverso interventi sullo stile di vita e ambientali resta lo strumento principale per ridurre l' impatto sociale del cancro. In questo rapporto viene stimata la mortalità attribuibile a nove fattori di rischio per 12 tipi di cancro,in sette regioni appartenenti alla Banca Mondiale, per l 'anno 2001.
Metodi

Sono stati analizzati i dati del progetto Comparative Risk Assessment e i dati provenienti da nuove fonti al fine di valutare l'esposizione ai fattori di rischio e il rischio relativo in funzione di età, sesso e regione geografica. Utilizzando i dati dell'OMS, sono state applicate le frazioni attribuibili di popolazione (N.d.R.che esprimono di quanto l' eliminazione di alcuni fattori abbasserebbe la mortalità per cancro), per fattori di rischio singoli e multipli, alla mortalità per cancro sede-specifico.

Risultati

Dei 7 milioni di morti per cancro registrate a livello mondiale nel 2001, si stima che 2,43 milioni (35%) fossero attribuibili a nove fattori di rischio potenzialmente modificabili. Di queste morti, 0,76 milioni si sono verificate in Paesi ad alto reddito e 1,67 milioni in nazioni a reddito medio-basso. Tra le regioni a reddito medio-basso, Europa e Asia Centrale facevano registrare la più alta percentuale (39%) di morti per cancro attribuibili ai fattori di rischio esaminati. Delle morti attribuibili a questi fattori di rischio, 1,6 milioni hanno colpito gli uomini e 0,83 milioni le donne. Fumo, assunzione di alcolici e scarso consumo di frutta e verdura erano i principali fattori di rischio di morte per cancro, a livello mondiale e nei Paesi a reddito medio-basso. Nei Paesi ad alto reddito, le più importanti cause di cancro erano fumo, assunzione di alcolici e sovrappeso/obesità. Nei Paesi a reddito medio-basso, la trasmissione sessuale del papillomavirus umano è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di cancro della cervice uterina.

Interpretazione

La riduzione dell'esposizione a fattori di rischio cruciali comportamentali e ambientali preverrebbe una considerevole percentuale di morti per cancro.

Note sugli autori:

Lancet 2005; 366 :1784-93
Harvard School of Public Health,
Boston, MA, USA, and
Initiative for Global Health, Harvard University,
Cambridge, MA, USA
(G Danaei MD,M Ezzati PhD, Prof CJL Murray MD);
Clinical Trials Research Unit (CTRU),
University of Auckland, Auckland,New Zealand
(S Vander Hoorn MSc);e
School of Population Health,
University of Queensland, Brisbane, Australia
(Prof AD Lopez PhD)
Indirizzo per la corrispondenza:
Dr Majid Ezzati,
Department of Population and International Health,
Harvard School of Public Health,
665 Huntington Avenue, Boston, MA 02115, USA
mezzati@hsph.harvard.edu

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lunedì, agosto 13, 2007

Ricercatori britannici: anche l'ipnosi contro il dolore

Scritto da Donatella Barus (Corriere della Sera)

MILANO - Non solo suggestione "stregonesca", ma terapia psicologica che in alcuni casi risulta efficace: l'ipnosi - secondo un gruppo di ricercatori britannici - può aiutare i malati di cancro a vivere meglio, alleviando il dolore e limitando gli effetti collaterali dei trattamenti antitumorali. L'ipnosi è un particolare stato di coscienza (o di sonno) che può essere indotto con varie tecniche (a volte anche solo con l'uso delle parole) in persone predisposte. Le tecniche ipnotiche, aggiungono gli studiosi britannici, appaiono una risorsa promettente, anche se ancora poco esplorata. A dispetto dello scetticismo che accompagna una pratica spesso mistificata, infatti, le applicazioni terapeutiche dell'ipnosi sono già note, per chi, ad esempio, vuole smettere di fumare, perdere peso o gestire disturbi psichici.

In occasione del recente incontro annuale della British Association for the Advancement of Science, la dottoressa Christina Liossi, psicologa dell'università del Galles, ha riferito dei risultati ottenuti contro depressione, nausea, vomito e dolore nei pazienti oncologici sottoposti ad ipnosi. "Sappiamo che l'ipnosi è in grado di agire sul sistema immunitario" - afferma la Liossi sul sito dell'American Society of Clinical Oncology, che ha anche illustrato i dati di uno studio mirato su bambini dai 6 ai 16 anni, affetti da tumore. Ai piccoli pazienti (80 in tutto) sono stati somministrati analgesici locali, e metà dei piccoli pazienti è stata inoltre sottoposta a ipnosi. Quando è stato chiesto ai bambini di indicare l'intensità del dolore provato durante le procedure mediche, secondo una determinata scala di percezione, il gruppo che aveva sperimentato l'ipnosi ha dichiarato una sofferenza minore.

Ma anche le cosiddette tecniche di "brain imaging", o neuroimmagini, ovvero quelle che consentono di visualizzare una parte delle attività cerebrali, contribuiscono a comprendere meglio il fenomeno. E soprattutto a dimostrare che dietro gli effetti dell'ipnosi c'è ben poca magia, ma piuttosto meccanismi biologici complessi e scientificamente "misurabili".

Il professor John Gruzelier, dell'Imperial College di Londra, ha "fotografato" il cervello di persone prima e durante una seduta di ipnosi grazie alla risonanza magnetica funzionale: è emerso che sotto ipnosi, nelle persone più "sensibili", avvengono dei mutamenti significativi a livello della corteccia frontale sinistra (quell'area dell'encefalo coinvolta nei processi cognitivi più complessi e nel comportamento) e della regione chiamata "giro cingolato", connessa con la valutazione delle reazioni emotive.

Insomma, il cervello lavora in maniera differente. Ecco perché, ha spiegato Gruzelier, un soggetto ipnotizzato può compiere azioni che in stato di veglia cosciente sarebbero impensabili.

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martedì, giugno 05, 2007

Gli scienziati dell’istituto di ricerca dei tumori di Cambridge hanno scoperto quattro geni responsabili dello sviluppo del cancro al seno.

Questo grazie ad una nuova tecnica computerizzata, in grado di fornire dei risultati nel giro di poche ore, che funziona confrontando le differenze tra il genoma di volontarie sane e quello di donne affette da tumore al seno.

BRCA1, BRCA2, TP53 e PTENS sono i nomi dei nuovi geni scoperti ma secondo gli esperti la malattia è frutto dell’espressione di centinaia di geni diversi.

Ma gli scienziati rassicurano che grazie a questa nuova tecnologia entro pochi mesi sarà possibile individuare tutti i geni coinvolti nello sviluppo del cancro alla mammella, con una prospettiva futura di poter effettuare delle diagnosi precoci grazie a delle semplici analisi del sangue.

“Tra pochi anni - spiega Karol Sikora, professore alla Imperial College School of Medicine di Londra - saremo in grado di distinguere le donne con un elevato rischio di contrarre il tumore al seno da quelle con medio o basso rischio”.

Lo studio è pubblicato sulla rivista scientifica Nature.

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venerdì, aprile 27, 2007

I bisogni psicologici delle donne con tumore mammario : un modello di rilevamento e di intervento

Abstract

*Nadalini L., **Lorenzini M., *Trabucco G., **Pasqualini M., **Barisoni D., *Ferrari G.

ISTITUTO * Psicologia Clinica Ospedaliera - Divisione di Neurologia (Primario : Prof. Ferrari)
** I^ Divisione di Chirurgia Plastica - Centro Ustioni (Primario : Prof. Barisoni)

Premessa
La ricostruzione mammaria, fatta contestualmente alla demolizione, rappresenta una ãcucitura precoceä ad uno strappo profondo che intacca lâintegrità psico-fisica delle donne, la loro sicurezza femminile, sessuale e la fiducia verso il futuro. Nella donna rimane un senso di angoscia e di perdita oltre il tempo materiale che serve per la ricostruzione morfologica. Se da una parte, la ricostruzione, ha lâeffetto di cicatrice sullo strappo psicologico, dallâaltra mantiene viva la paura del tumore, innestata dalla diagnosi, anche attraverso le sensazioni fisiche che lâespansione e dilazione dei tessuti provoca . Peraltro, questa dialettica emotiva si sviluppa in un periodo che coincide con le cure oncologiche necessarie. Allâosservazione, un momento particolarmente difficile sembra quello della seconda fase dellâiter ricostruttivo (sostituzione dellâespansore con la protesi definitiva).
Pazienti
Lâosservazione è stata fatta su 80 donne, selezionate in modo seriale tra quelle afferenti alla I^ Divisione di Chirurgia Plastica, nel triennio 98-2000. Il campione a cui si riferisce la valutazione è di 50 donne ; dal gruppo sono state escluse le donne i cui dati erano incompleti.
Obiettivi
· Predisporre strumenti standardizzati per rilevare lo stato psicologico durante la prima e seconda fase ricostruttiva ;
· Verificare se la seconda fase (sostituzione espansore con protesi definitiva) sia effettivamente un momento difficile, quasi più dellâinizio della ricostruzione, così come emerge dai colloqui e dallâosservazione ;
· Valutare se ci sia una correlazione tra lo stato emotivo delle donne e il rifiuto di completare la ricostruzione o il gradimento della stessa ;
· offrire un sostegno psicologico di gruppo, con cadenza settimanale ;
· Verificare la percentuale di rischio di sequele psicopatologiche, attraverso follow-up, dopo un anno dalla fine della ricostruzione ;
· Confrontare il rischio di sequele psicopatologiche tra le donne che hanno usufruito di sostegno psicologico e non ;
· Confermare o modificare il protocollo dâintervento psicologico da noi predisposto, integrato con quello medico-specialistico.
Strumenti e metodi
Test standardizzati che valutano lâansia, il tono dellâumore e la qualità di vita ;
Colloquio clinico-anamnestico ;
Sostegno psicologico di gruppo ;
Presenza presso lâambulatorio ricostruttivo-chirurgico.
Conclusioni
Si riportano i dati preliminari della ricerca; ossia i dati basali risultati dalle valutazioni del livello dâansia, di depressione della percezione della qualità di vita del campione di donne. Una parte dei dati è relativa allâinizio della ricostruzione e lâaltra alla seconda fase. Essi confermano lâipotesi clinica e consentono di effettuare importanti considerazioni psicologiche, relazionali e terapeutiche.
I dati preliminari sono di tale interesse che ci sembra necessario estendere il rilevamento dei bisogni psicologici delle pazienti, ad altri Centri.

Indirizzo postale del primo Autore : Dott.ssa Luisa Nadalini, Modulo di Psicologia Clinica - Divisione di Neurologia.Piazzale Stefani, 1. O.C.M. - Az. Ospedaliera - 37126 Verona. Tel. 045- 8073268 (diretto), 045 -8073412 (segr.e fax).

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venerdì, marzo 30, 2007

L’IPNOSI NEI PAZIENTI AFFETTI DA CANCRO

I pazienti affetti da cancro hanno una serie di necessità psicologiche e mediche che possono essere controllate per mezzo dell’ipnosi.Il cancro e le malattie croniche hanno certamente un impatto negativo sull’autostima e sulla fiducia in se stessi.

Perciò tutte le tecniche di rinforzo dell’io possono essere d’aiuto in questi pazienti. Inoltre l’uso dell’autoipnosi per controllare i sintomi da’ al paziente un senso di padronanza e di controllo, e vissuti di speranza. Il dolore è il sintomo principale per alcuni pazienti e vi sono tecniche ipnotiche per controllare il dolore; anche sintomi collaterali come la nausea, il vomito, la diarrea, la perdita di appetito possono essere affrontate con successo per mezzo dell’ipnosi.

L’ansia e la paura sono aspetti molto importanti in questi pazienti:indurre sentimenti di calma e tranquillità permette al sistema immunitario di funzionare al massimo grado,aiutando la lotta contro il cancro: l’autoipnosi e l’ipnosi meditativa profonda o il metodo dell’ipnosi prolungata sono dei validi strumenti terapeutici.

Benché in questo campo i risultati siano a livello aneddotico e limitati nel numero, alcuni riportano risultati positivi con l’uso di tecniche di visualizzazione che stimolano la funzione del sistema immunitario (Rossi 1986, Simonton 1978).

Riassumendo l’ipnosi agisce:

• sul dolore;

• sui sintomi collaterali prodotti dalla chemioterapia;

• sull’ansia;

• sul sistema immunitario.

Con le seguenti tecniche:

• autoipnosi;

• ipnosi meditativa;

• ipnosi ad effetto prolungato;

• tecniche di visualizzazione.

In risposta alla necessità di certi pazienti e delle loro famiglia è stata sviluppata una tecnica utile per coloro che devono affrontare la morte imminente e per coloro che manifestamo grande ansietà riguardo alla morte. Questa tecnica è stata trovata efficace nel correggere l’ansia e nel correggere aspettative errate riguardo all’esperienza della morte e degli effetti della morte sui pazienti e sulla loro famiglia.

Questa tecnica, chiamata “Death rehearsal” varia naturalmente a seconda dei casi ma essenzialmente rappresenta una proiezione del paziente nel futuro con il terapeuta che interagisce coinvolto nella scena visualizzata dal paziente.

Mentre le tecniche ipnotiche usate in prossimità della morte tendono a recare conforto, sicurezza, serena accettazione, diverso è invece lo scopo delle tecniche immaginative praticate per “stimolare”il sistema immunitario: queste tecniche, praticate peraltro in uno stadio molto precoce della malattia, tendono invece a modificare l’atteggiamento di passività insistendo sulla visualizzazione metaforica di difese naturali aggressive, efficaci, potenti.

Senza attribuire all’ipnosi possibilità irrealistiche in questo campo, dobbiamo tuttavia realisticamente ammettere che l’ipnosi è un utilissimo strumento per aumentare la fiducia in se stesso del paziente, aiutarlo ad affrontare e lottare contro la malattia, farlo sentire supportato continuamente – non ultimo, importante è l’effetto dell’ipnosi di sollievo vero eventuali effetti collaterali della necessaria terapia.

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lunedì, marzo 05, 2007

Il Meyer, Ospedale Pediatrico di Firenze presenta la Risonanza Magnetica 3 Tesla

Sarà il primo Ospedale Pediatrico in Italia ad utilizzare un’apparecchiatura di Risonanza Magnetica ad alto campo 3 Tesla. Grazie alla donazione di Giuseppe Lavazza, componente del Consiglio d’Amministrazione Lavazza e della Fondazione Gianfranco Rey, il Nuovo Meyer di Villa Ognissanti si è dotato di una avanzatissima tecnologia di Diagnostica per Immagini. Alta definizione, migliore capacità diagnostica, tempi minori di indagine e quindi minor ricorso alla sedazione: sono i vantaggi che l’apparecchiatura offrirà ai bambini in cura all’Ospedale Pediatrico di Firenze.

Molteplici le applicazioni della nuova apparecchiatura in campo oncologico, neurologico e cardiologico. Accanto a questo la Risonanza Magnetica 3 Tesla apre la strada a quelli che in gergo medico vengono definiti studi funzionali. Qualche esempio: questa apparecchiatura si rivela indispensabile per la stimolazione della corteccia cerebrale. Si pensi alla localizzazione delle aree del linguaggio qualora il neurochirurgo debba intervenire in zone critiche: il poter localizzare le strutture nervose la cui lesione potrebbe creare disabilità è di essenziale utilità al neurochirurgo per operare con i margini di maggiore sicurezza possibile.

L’impiego di questa macchina consentirà al neurologo di riconoscere le vie di propagazione delle crisi epilettiche, rendendone evidente l’estrema utilità nell’ambito clinico-terapeutico e prognostico. La Spettroscopia, indagine che consente allo specialista di vedere quali sostanze sono presenti nell’encefalo sano e in quello colpito da patologie, può essere di aiuto nella diagnosi e nel controllo di malattie rare. In ambito oncologico, in cui i pazienti devono sottoporsi a frequenti esami di controllo, la maggior definizione e rapidità dell’indagine sono elementi di primaria importanza. In ambito cardiologico la necessità di sofisticati programmi di studio è ormai talmente necessaria che la risonanza magnetica costituisce uno dei mezzi essenziali nella valutazione di malformazioni del bambino dopo l’ecocardiografia.

“L'introduzione presso la nostra Neuroradiologia di un apparecchio per la Risonanza da 3 Tesla migliorerà l'approccio diagnostico e terapeutico dei bambini portatori di patologie neurochirurgiche", dice il neurochirurgo Lorenzo Genitori. "Dal punto di vista della pianificazione dell'intervento chirurgico questa apparecchiatura porterà ad una migliore definizione di fasci cerebrali e strutture profonde che permetterà al chirurgo già guidato da robot dedicati (neuronavigatore) di migliorare il gesto e diminuire ancora la morbilità. Gli studi funzionali preoperatori permetteranno una più precisa localizzazione di funzioni e non più di aree cerebrali in modo da poterne rispettare il perfetto funzionamento. Nella chirurgia dell'epilessia farmaco-resistente questo apparecchio migliorerà la capacità di diagnosticare piccole aree disfunzionanti e permettere quindi la loro asportazione senza danneggiare il parenchima sano. Tutto ciò associato anche ad un potenziale enorme per la ricerca in campo delle neuroscienze, porterà un netto miglioramento nella comprensione di quei meccanismi che sono spesso alla base delle malattie neurologiche e neurochirurgiche del bambino. Anche nel campo della neuro-oncologia l'utilizzo di tale apparecchio permetterà di conoscere in anticipo la qualità del tessuto che si andrà ad operare migliorando il gesto,aumentando le possibilità di exeresi radicale ed aprendo le porte a trattamenti più personalizzati al singolo paziente”.

Fonte: Ufficio stampa Ospedale Pediatrico Meyer 2007.

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domenica, febbraio 18, 2007

Cancro: può produrre arterie sue

Tratto da: Repubblica

UN GRUPPO di ricercatori del Laboratorio di Oncologia dell'Istituto Giannina Gaslini di Genova, coordinati da Annalisa Pezzolo e Vito Pistoia, direttore del Laboratorio, ha dimostrato che in alcuni casi di neuroblastoma, un tumore solido pediatrico, i vasi sanguigni che portano nutrimento al tumore possono essere formati direttamente dalle cellule tumorali.
La crescita di qualunque tumore dipende dalla sua rete di vasi. Più ricca è tale rete, maggiore è l'apporto di sostanze nutrienti che alimentano lo sviluppo tumorale e maggiore è la malignità della neoplasia. Il neuroblastoma è il terzo tumore pediatrico per frequenza dopo leucemie e tumori cerebrali e colpisce prevalentemente bambini in età pre-scolare. Purtroppo in circa la metà dei pazienti la malattia si scopre quando ci sono già metastasi e soltanto il 25-30% di essi sopravvive a 5 anni, nonostante l'impiego dei più avanzati protocolli terapeutici.
Uno dei potenziali bersagli per lo sviluppo di nuove cure dei tumori è costituito dalla loro rete vascolare: infatti, colpendo selettivamente i vasi di nuova formazione del tumore, è possibile bloccarne o rallentarne la crescita. Tale approccio, che si è già dimostrato efficace nella terapia di modelli sperimentali di neuroblastoma, è basato sul presupposto che i vasi tumorali, a differenza delle cellule maligne, siano geneticamente normali.
Lo studio della Pezzolo, pubblicato su Journal of Clinical Oncology, dimostra per la prima volta che, in alcuni pazienti affetti da neuroblastoma, le cellule tumorali generano vasi funzionalmente normali, ma geneticamente alterati come le cellule da cui derivano. "Questa scoperta", dice Pistoia, "è molto importante perché vasi tumorali che presentano le stesse anomalie genetiche del tumore di origine possono essere resistenti a molti farmaci utilizzati nella chemioterapia anti-neoplastica e quindi, comprometterne l'efficacia".
"La raccomandazione che emerge dal nostro studio", conclude la Pezzolo, "è che i neuroblastomi di elevata malignità vengano sottoposti a screening per stabilire se i vasi sanguigni che li nutrono derivino da cellule normali oppure dalle cellule tumorali stesse. In quest'ultimo caso i vasi potrebbero essere resistenti ai trattamenti che vengono somministrati per distruggerli. E' pertanto opportuno in ogni paziente identificare l'origine dei vasi tumorali in considerazione delle possibili implicazioni terapeutiche. Ciò può essere fatto con tecniche relativamente semplici e poco costose nelle mani di un operatore esperto".

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martedì, gennaio 02, 2007

La "svolta" molecolare

di Umberto Veronesi *

Il 2006 può essere identificato come l'anno della svolta per le terapie molecolari. Dal punto di vista della ricerca i risultati ottenuti con gli studi genomici indicano che nei prossimi cinque anni avremo a disposizione un numero di terapie molecolari sufficienti per ridurre drasticamente l'utilizzo delle cure chemioterapiche più tossiche, a favore di cure mirate e personalizzate. Gli strumenti si sono moltiplicati: allo IEO è stato messo a punto un test (CEC, circulating Epitelial cells) che, attraverso un semplice esame del sangue, determina l'efficacia delle terapie antiangiogenetiche - quelle cioè che hanno l'obiettivo di ridurre la massa tumorale bloccando la formazione di vasi che portano il sangue al tumore per nutrirlo - per modulare le dosi in base alla risposta individuale al farmaco. La genomica è ormai vicina ad ottenere una vera e propria mappa dei geni di ogni tumore e della loro attività (gene expression profile). Su questa mappa l'oncologo clinico può costruire la terapia per ogni malato. In particolare può capire quali tumori hanno tendenza a metastatizzare. Sono di grande aiuto in questo senso anche gli studi sulle cellule staminali tumorali, cioè quelle cellule capaci di formare un secondo tumore in organi o tessuti diversi da quelli d'origine. È importante l'identificazione delle staminali tumorali del carcinoma del colon, ottenuta alla fine di quest'anno da un' équipe tutta italiana.
* Direttore scientifico Istituto Oncologico Europeo

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lunedì, dicembre 11, 2006

Troppe proteine? Rischio di tumori

Assumere meno proteine potrebbe ridurre il rischio di sviluppare alcune forme tumorali che non sono associate all’obesità, quali il cancro alla prostata e il tumore della mammella nelle donne in età premenopausale. Lo sostiene uno studio condotto alla Washington University School of Medicine in St. Louis e coordinato da Luigi Fontana, del Dipartimento di Sanità alimentare ed animale dell’ISS e pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition.

“Prevenire le malattie cronico-degenerative associate agli scorretti stili di vita ed implementare strategie in grado di promuovere un invecchiamento ottimale è una sfida importante per il futuro e uno degli obiettivi della ricerca del nostro Istituto, tanto più che è sempre più evidente come l’incremento della vita media della popolazione italiana non sia accompagnato da un parallelo miglioramento della qualità di vita", spiega Enrico Garaci, Presidente dell’ISS. "Proprio per questo motivo, apriremo all’ISS un Centro, dotato di una sorta di ‘cucina metabolica’, di una palestra e di ambulatori, dove studiare i meccanismi attraverso cui una corretta alimentazione e l’esercizio fisico rallentano l’invecchiamento di organi e tessuti nell’uomo e prevengono le malattie croniche-degenerative in soggetti che non hanno ancora subito danni organici irreversibili”.

I ricercatori hanno preso in esame tre gruppi di individui pareggiati per età e per sesso: 21 vegetariani crudisti che assumevano una media giornaliera di 0.73 grammi di proteine per chilogrammo di peso corporeo, 21 atleti specializzati nella corsa di resistenza, allenati a percorrere poco meno di 80 km alla settimana e nella cui dieta erano compresi 1.6 grammi di proteine giornaliere per chilogrammo di peso corporeo e un gruppo di persone sedentarie che assumevano una tipica dieta americana con 1.23 grammi di proteine per chilo di peso.

“La stretta correlazione tra alimentazione e alcune delle più comuni forme di cancro è un’ipotesi abbastanza fondata", afferma Luigi Fontana, ricercatore dell’ISS e coordinatore dello studio. "I meccanismi, tuttavia, attraverso cui i diversi alimenti promuovono o proteggono dal cancro non sono ancora chiari. E’ ormai assodato che le persone in sovrappeso ed obese hanno un aumentato rischio di sviluppare il cancro del colon, dell’endometrio, del rene, dell’esofago e della mammella soprattutto dopo la menopausa. Esistono tuttavia due forme tumorali che non sono associate all’eccessivo accumulo di grasso: il cancro alla prostata e il tumore della mammella nelle donne in età premenopausale”. Dalla ricerca è emerso che una dieta ipoproteica potrebbe essere in grado di proteggerci da queste forme di cancro più dell’esercizio fisico, indipendentemente dalla quantità di grasso corporeo.

“Nel corso della nostra indagine abbiamo constatato che sia gli individui che praticavano da lungo tempo un regime alimentare caratterizzato da un basso apporto proteico nell’ambito di una dieta relativamente ipocalorica, sia gli atleti, abituati a svolgere attività fisica con regolarità e precisione, mostravano un basso contenuto di grasso corporeo e di conseguenza dei valori più bassi d’insulina, di testosterone libero e di citochine pro-infiammatorie. L’apporto proteico giornaliero corretto secondo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dovrebbe essere di 0.8 grammi/Kg/die di proteine, che è molto simile a quello che gli individui che seguono la dieta ipoproteica arruolati nello studio mangiano, mentre molti americani e molti italiani mangiano 1.2 - 1.6 grammi/Kg di proteine al giorno", afferma Fontana, "cioè mangiano circa il 30 - 50 per cento in più di ciò che è raccomandato dagli esperti. E’ ormai chiaro che se aumentiamo del 30 - 50 per cento rispetto al fabbisogno le calorie introdotte giornalmente diventiamo obesi, tuttavia, paradossalmente, non sappiamo cosa succede se mangiamo cronicamente più proteine di quelle che sono necessarie per mantenere un bilancio azotato neutro. Il problema è che nei paesi industrializzati, e purtroppo ora anche in quelli in via di sviluppo, non si mangiano quantitativi sufficienti di verdura, legumi, cereali integrali e frutta, di conseguenza la nostra dieta si compone troppo spesso prevalentemente di prodotti di origine animale (carne, formaggio, uova e burro), cereali eccessivamente raffinati e zuccheri semplici, che a lungo andare sono deleteri per la salute perché estremamente calorici e perché troppo ricchi di proteine e sale, caratteristiche queste che costituiscono potenti fattori di rischio per l’obesità addominale, per il diabete, per l’ipertensione arteriosa, per le malattie cardiovascolari e per taluni tipi di cancro”.

Fonte: Ufficio stampa ISS 2006.
A cura de Il Pensiero Scientifico Editore

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Quando si dice fumarsi il cervello...

La nicotina è responsabile di cambiamenti nel metabolismo del cervello, che sono probabilmente il campanello d’allarme di un funzionamento alterato. Lo fa sospettare uno studio condotto in Germania e illustrato in anteprima presso il convegno annuale della Radiological Society of North America.

Che il fumo non faccia bene alla mente non è un’idea nuova. La dipendenza dal fumo, come tante altre dipendenze, avviene proprio perché le sostanze prodotte dalla sigaretta vanno a stimolare una risposta in certe aree cerebrali, ad esempio quelle preposte alla percezione del dolore e del piacere. Con le attuali tecniche di imaging i ricercatori sono in grado di "vedere" ciò che avviene nel cervello mentre si pensa, si compie un’azione, si prova un’emozione o si assume una sostanza; così grazie a una moderna tecnica che permette di studiare in tempo reale la concentrazione nel cervello di sostanze neuroattive prodotte dal metabolismo, alcuni ricercatori dell’Università di Bonn sono riusciti ad analizzare come il metabolismo cerebrale viene alterato a causa dell’abitudine al fumo.

Sono state prese in esame diverse sostanze naturalmente prodotte durante l’attività cerebrale. I soggetti fumatori, sottoposti a questa tecnica d’avanguardia per l’imaging cerebrale, hanno mostrato alterazioni nella concentrazione di tali sostanze. Ad esempio la creatina totale, che altri studi hanno notato essere legata al rischio di ricadute in soggetti dipendenti da sostanze d’abuso, è più elevata nei lobi frontali del cervello dei fumatori. Sono risultati invece a concentrazioni più scarse del normale altri due prodotti del metabolismo cerebrale: la colina, importante per salute delle membrane cellulari, e l’N-acetilaspartato, che scarseggiava nell’area cerebrale reattiva alle sensazioni piacevoli o dolorose. In particolare, la colina era a livelli bassi soprattutto nelle donne fumatrici, mentre l’N-acetilaspartato era tanto più scarso quante più sigarette il soggetto fumava in un anno.

Gli autori della ricerca hanno fatto notare come, in base a precedenti studi, la bassa concentrazione di queste sostanze nel cervello spesso si riscontri in soggetti sofferenti di disturbi dell’umore e di altre patologie psichiatriche, il che getta un’ombra ulteriore sugli effetti che questo "vizio" tanto comune provoca a livello cerebrale, invitando a non prendere sottogamba quest’abitudine e prestare maggiore attenzione alla salute del proprio cervello.

Fonte: RSNA 2006: Strenghtening professionalism. 2-8 dicembre 2006, Chicago.

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venerdì, novembre 17, 2006

Fumo e sale nemici dell'esofago

Il fumo e l’eccesso di sale a tavola aumentano il rischio di reflusso gastroesofageo, un problema molto diffuso caratterizzato dalla risalita dei succhi gastrici nell’esofago con conseguente pirosi, vale a dire una sensazione di bruciore che dallo stomaco si irradia verso l'alto. È quanto affermato dall’équipe di Magnus Nilsson presso il Karolinska Hospital di Stoccolma con uno studio che invece sembra scagionare altri "sospetti", tra cui il tè e l’alcol.

Per la prima volta utilizzando un vasto campione di individui (3153 persone con i sintomi del reflusso e 40.210 persone sane) il team svedese ha dimostrato che il rischio di tale disturbo, che può avere conseguenze anche sulla salute del cuore, è il 20 per cento più alto nei fumatori che hanno il vizio da 1-5 anni, ma si impenna al 70 per cento nei fumatori da 20 anni o più. Lo studio sarà pubblicato sul periodico specializzato Gut.

E a fare compagnia al fumo tra i colpevoli, hanno detto gli specialisti, c’è anche un altro “vizio”, quello di salare in abbondanza le pietanze, in particolare di tener fede all’abitudine del sale a tavola per fare qualche “ritocco” alla salatura fatta durante la preparazione del pasto.

Chi ha questa pessima abitudine, deleteria anche per la salute cardiovascolare, ha un rischio di soffrire di reflusso più alto del 70 per cento. Invece, hanno detto gli esperti, sembra che il pane integrale e la ginnastica siano due fattori protettivi.

Si hanno numerosissime informazioni sul reflusso gastroesofageo e sulle sue conseguenze a lungo termine (si tratta tra l'altro di un disturbo che, se in forma grave e non trattata, può costituire un fattore di rischio per il tumore dell'esofago), hanno concluso gli esperti in gastroenterologia, ma ancora non si era in possesso di prove conclusive circa gli stili di vita da evitare, anche se alla sbarra erano stati già additati molti sospetti.

Bibliografia. Nilsson M, Johnsen R, Ye W et al. Lifestyle related risk factors in the aetiology of gastro-oesophageal reflux. Gut 2004; 53: 1730-1735.

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venerdì, ottobre 20, 2006

Tumore della pelle

Le cellule emettono suono specifico

A cura de Il Pensiero Scientifico Editore

Le cellule tumorali della pelle, se colpite con una luce laser blu, emettono delle onde che possono essere rilevate da specifici apparecchi; la tecnica può rilevare fino a dieci cellule cancerogene in un campione di sangue ed è stata messa a punto dai ricercatori dell’Università del Missoury-Columbia. Il lavoro è stato pubblicato sull’ultimo numero della rivista Journal of Optics Letters.

In particolare sono i granuli di melanina che colpiti dalla luce laser assorbono l’energia prodotta dal fascio e la rilasciano sotto forma di calore; questo cambiamento di temperatura genera una parziale rottura dei granuli di melanina accompagnati da un "sonoro" rumore che si propaga nel tessuto come uno tsunami e può essere captato da rilevatori fotoacustici.

Le onde sonore prodotte dai granuli di melanina sono ultrasuoni ad alta frequenza che possono essere rilevati con speciali microfoni e analizzati al computer. Il melanoma è un tumore maligno che origina dai melanociti (cellule che producono melanina) i quali perdono l’inibizione da contatto e continuano a dividersi producendo grandi quantità di granuli di melanina. Le cellule tumorali, dunque, per il loro alto contenuto in melanina se irraggiate con luce laser producono una risposta rispetto alle cellule sane e pertanto possono essere rilevate.

"Questo nuovo test ci permetterà di individuare un numero maggiore di tumori e, auspicabilmente, anche precocemente", ha dichiarato John Viator, ingegnere biomedico e coautore della ricerca. "Il solo motivo per cui si può trovare della melanina nel circolo sanguigno è perché vi sono dei melanociti impazziti. Il test messo a punto nel nostro laboratorio è in grado di verificare la presenza di cellule tumorali e la loro concentrazione in soli trenta minuti; può dunque essere utile sia in fase diagnostica sia dopo la terapia per verificare se il tumore è stato estirpato", ha concluso Viator.

Fonte: Weight RM et al. Photoacoustic detection of metastatic melanoma cells in the human circulatory system. Optics Letters 2006; 31(20):2998-3000.




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lunedì, ottobre 09, 2006

TERAPIE PSICOLOGICHE E SOPRAVVIVENZA

di: Eleonora Capovilla, Samantha Serpentini
U.O. di Oncologia Medica - U.O. di Radioterapia, A.O. di Padova

A partire dagli anni ’70 l’aumento delle possibilità di cura dei tumori ha spinto discipline quali l’oncologia, la psicologia, la psichiatria e l’assistenza sociale ed infermieristica ad un crescente interesse per le problematiche psicologiche connesse alla sopravvivenza e, quindi, per l’approccio psicosociale al cancro. In tal senso, negli ultimi trent’anni sono stati compiuti notevoli passi avanti: la ricerca psico-oncologica si è diffusa in un gran numero di paesi allo scopo di analizzare l’impatto psicosociale del cancro su pazienti, famiglie e personale curante e di approfondire il ruolo delle variabili psicologiche e comportamentali nella prevenzione, nella diagnosi precoce e nella cura delle neoplasie. Pertanto, ora la domanda corretta da porsi non è più “E’ utile l’intervento psicologico?”, ma “Quali interventi, diretti verso quali fini, con quali pazienti e con quali modalità di conduzione, sono efficaci?”.

Tra i numerosi interventi psicologici sperimentati i più conosciuti sono i seguenti:

1) le psicoterapie individuali, ad orientamento psicodinamico (es. la terapia di LeShan) o di tipo cognitivo-comportamentale (es. l’Adjuvant Psychological Therapy di Moorey e Greer ), di cui si sono ottenute evidenze sperimentali di utilità nelle diverse fasi della malattia neoplastica;

2) le psicoterapie di gruppo, anch’esse ad orientamento dinamico o cognitivo-comportamentale, o i gruppi di supporto, particolarmente utilizzati con le donne affette da carcinoma della mammella;

3) le numerose varianti di training comportamentale tra cui le tecniche di rilassamento, il biofeedback, l’ipnosi, ecc., che sono risultate efficaci nella riduzione dello stress emotivo, dell’astenia e del dolore;

4) gli interventi psicoeducazionali, individuali o di gruppo, che rappresentano la modalità relativamente più recente di approccio psicosociale al cancro. Essi possono consistere in programmi diversi ma la struttura di base che li caratterizza è quella di coniugare la componente strettamente informativo-educativa con la componente di supporto psico-emozionale. Questi interventi stanno mostrando notevoli benefici sia sugli stati affettivi che sulle capacità di adattamento al cancro, soprattutto in fase postchirurgica e con pazienti in fase iniziale di malattia e buona prognosi.

Nel campo della terapia psicosociale al cancro sono stati condotti numerosi studi che hanno dimostrato l’efficacia delle terapie psicologiche nei malati di cancro, inoltre si registrano molteplici tentativi, più o meno validi, di analizzare le possibili interazioni tra fattori psicosociali e fattori biologici; eppure pochissime ricerche hanno cercato di esaminare gli effetti medici degli interventi psicologici in modo prospettico col fine di indagare eventuali influenze rispetto alla sopravvivenza. Infatti, nella letteratura psico-oncologica internazionale è possibile rintracciare solamente due studi sperimentalmente condotti e ben documentati: lo studio Spiegel e coll.(1981, 1989)(1, 2) e quello di Fawzy e coll.(1990, 1993)(3, 4, 5).

Lo studio di Spiegel era finalizzato alla valutazione degli effetti immediati e a lungo termine di una terapia di gruppo sulla sopravvivenza in 58 donne affette da carcinoma della mammella in metastasi. Le pazienti furono assegnate casualmente ad un gruppo di intervento (cure oncologiche mediche + terapia di gruppo settimanale per la durata di 1 anno) e ad un gruppo di controllo (solo cure oncologiche mediche). Dopo 1 anno dall’intervento il gruppo in trattamento psicoterapico mostrava, rispetto al gruppo di controllo, un livello inferiore di disturbi dell’umore (depressione, ansia, fobie) ed una riduzione significativa del dolore.

A distanza di 10 anni il tempo di sopravvivenza era risultato significativamente più lungo per il gruppo di intervento, con una media di 36.3 mesi rispetto ad una media di 18.9 mesi registrata nel gruppo di controllo. Inoltre i dati mostrarono che livelli più bassi del disturbo dell’umore e livelli più elevati di vigore, rilevati alla fine della terapia psicologica di gruppo, risultavano correlati significativamente ad una maggiore longevità.

Lo studio di Fawzy è stato sperimentato su 66 pazienti affetti da melanoma cutaneo in fase iniziale col proposito di valutare gli effetti immediati e a lungo termine di un intervento psicoeducazionale strutturato, della durata di 6 settimane, sugli stati affettivi e su alcune misure della funzione immunitaria. I risultati di questa ricerca hanno mostrato nei soggetti sottoposti all’intervento (n=38), rispetto ai soggetti di controllo (n=28), una significativa riduzione dello stress psicologico ed un effettivo miglioramento dell’adattamento alla malattia. Inoltre lo studio immunologico riscontrò nel gruppo sperimentale un aumento delle cellule NK e della loro attività citotossica. Gli stessi Autori a distanza di 6 anni effettuarono uno studio di follow-up finalizzato a valutare la recidiva e la sopravvivenza nei pazienti che avevano partecipato alla precedente ricerca. Il gruppo di controllo mostrò una tendenza alla recidiva (13 pazienti su 34) ed un tasso di mortalità significativamente maggiori (10 pazienti su 34) rispetto ai pazienti sperimentali (rispettivamente 7 pazienti su 34 e 3 pazienti su 34).

La ricerca di Fawzy e coll. è stata da noi ripetuta nella realtà italiana (Capovilla e coll., 1999)(6), a Padova, su 19 pazienti affetti da melanoma cutaneo in stadio iniziale e buona prognosi, casualmente assegnati ad un gruppo sperimentale (intervento psicoeducazionale+valutazione psico-immunologica) e ad un gruppo di controllo (valutazione psico-immunologica). Trattandosi di uno studio pilota i risultati sono limitati ma, nonostante ciò, essi evidenziano al termine dell’intervento nei soggetti sperimentali, rispetto a quelli di controllo, delle variazioni a livello psicologico (spirito combattivo e qualità di vita) ed una maggiore potenzialità di risposta immunitaria, sia cellulo-mediata che anticorpo-mediata. I dati relativi alla sopravivenza sono attualmente in fase di valutazione e verranno descritti in sede congressuale.

In conclusione, lo studio della possibile influenza delle terapie psicologiche sulla sopravvivenza è un campo che necessita di ulteriori indagini. Infatti, le relazioni tra sistema immunitario, cancro e stress sono molto complesse e non sono ancora state chiaramente determinate in modo scientifico. In ogni caso, sembra ormai evidente il ruolo degli aspetti psicologici, comportamentali e sociali sull’approccio al cancro e sulle modalità di adattamento ad esso.

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giovedì, settembre 14, 2006

Contro il melanoma le cellule "ogm"

di Silvia Baglioni per conto di :Repubblica

Cento anni fa nasceva la chemioterapia per combattere il cancro, da allora l'oncologia, a piccoli passi, è arrivata lontano. Con questa riflessione si è aperto, a Milano, il convegno Targeted Therapies in cancer: mith or reality?, organizzato da Francesco Colotta del Nerviano Medical Science e da Alberto Mantovani dell'Istituto Clinico Humanitas. E' possibile curare il cancro con terapie sempre più personalizzate, tanto da debellarlo a da trasformarlo in una malattia cronica? Leggendo la stampa scientifica sembrerebbe di sì.

Manipolazione
L'ultimo esempio risale a poche settimane fa. La rivista Science riferiva i risultati di una sperimentazione condotta dall'equipe di Steven Rosenberg, al National Cancer Institute di Bethesda nel Maryland, su 17 malati affetti da gravi forme metastatiche di melanoma (tumore della pelle). Manipolando geneticamente specifiche cellule del sistema immunitario dei pazienti (linfociti T), gli scienziati sono riusciti a guarire due persone che da diciotto mesi non presentano più alcun sintomo. Lo stesso Rosenberg, però, guarda con molta prudenza a questo risultato, anche se è convinto che la terapia con cellule immunitarie, modificate grazie all'ingegneria genetica, rappresenti il futuro.

"Pochi anni fa" spiega Mantovani "lo stesso Rosenberg ha scoperto che, in rari e fortunati casi, il sistema immunitario di alcuni pazienti afflitti da melanoma è in grado di riconoscere le cellule tumorali e di scatenarsi contro di esse, fino a debellare la malattia (remissione spontanea). Questi linfociti possiedono un recettore capace di riconoscere in modo specifico le cellule neoplastiche. Nell'ultima sperimentazione l'equipe statunitense ha prelevato i linfociti dei 17 pazienti, lì ha modificati geneticamente, inserendo il recettore specifico, e lì ha fatti crescere in provetta.

Rosenberg ha ottenuto così un piccolo esercito di "soldati ogm" ben addestrati a combattere il tumore. Attenzione però a non enfatizzare questo risultato troppo esiguo nei numeri e da verificare".Questione di compatibilità"Dal punto di vista tecnico il lavoro è ben fatto" commenta Malcon Brenner del Center for Cell and Gene Therapy di Houston. "Per utilizzare questa metodica in campo clinico sarebbe necessario, però, raggiungere valori di risposta più elevati. Tuttavia non ci si può aspettare grandi numeri: i pazienti che hanno una possibilità di reagire alla cura sono quelli che possiedono un particolare insieme di geni di istocompatibilità (HLA A II), presenti solo nel 50% della popolazione.

Il gruppo studiato a Bethesda possedeva questo tipo di background genetico, ma tuttavia si è avuto un esito positivo solo nel 10% del totale". "Ciò vuol dire che, se i dati sperimentali saranno confermati,", conclude Brenner, "solo un esiguo numero di pazienti potrà beneficiare di questa terapia. Va da se che un approccio immuno-mediato per combattere alcuni tumori, come melanoma, carcinoma renale, tumore dell'intestino, linfoma, leucemia e forse mieloma, è molto promettente e notevolmente complesso".

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lunedì, agosto 28, 2006

Diabete e Tumore

Il diabete aumenta il rischio di malattia epatica cronica e di carcinoma epatocellulare
Uno studio coordinato da Ricercatori dello Houston Veterans Affairs Medical Center ha valutato l’associazione tra il diabete e la malattia epatica cronica.Sono stati identificati tutti i pazienti che tra il 1985 e il 1990 sono stati dimessi dall’ospedale con una diagnosi di diabete.
Questi pazienti sono stati seguiti fino al 2000.Sono stati esclusi i soggetti affetti da concomitante malattia epatica.I soggetti presi in esame sono stati 173.643 con diabete e 650.620 senza diabete.
La maggior parte ( 98% ) era di sesso maschile e quelli affetti da diabete erano più anziani rispetto a quelli senza diabete ( 62 versus 54 anni ).
L’incidenza di malattia epatica cronica non-alcolica è risultata molto più alta tra i pazienti diabetici ( 18.13 contro 9.55, rispettivamente, per 10.000 persone-anno ).
Simili risultati sono stati ottenuti per il carcinoma epatocellulare ( 2.39 contro 0.87, rispettivamente, per 10.000 persone-età ).Il diabete era associato ad un indice di rischio ( hazard rate ratio , HRR ) di 1.98 per la malattia epatica cronica non-alcolica e di 2.16 per il carcinoma epatocellulare.
I pazienti con diabete da più di 10 anni presentavano il massimo rischio.Questo studio ha dimostrato che tra gli uomini affetti da diabete il rischio di malattia epatica cronica non-alcolica e di carcinoma epatocellulare è raddoppiato.




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giovedì, agosto 24, 2006

Nicotina e Cancro

Sebbene la nicotina contenuta nel tabacco non avesse dimostrato effetti cancerogeni diretti , i ricercatori hanno sospettato per molti anni che essa avesse un ruolo nel promuovere la crescita tumorale. Recentemente uno studio Statunitense ha aggiunto nuove prove a questa teoria. Questi nuovi dati richiamano l’attenzione sull’uso a lungo termine della nicotina come terapia sostitutiva nella disassuefazione dal tabacco. I ricercatori del National Cancer Institute di Bethesda e del Lovelace Respiratory Research Institute di Albuquerque hanno studiato gli effetti della nicotina e del NNK, una sostanza cancerogena specifica del tabacco, su colture di cellule epiteliali bronchiali umane normali.

Basandosi su precedenti studi che avevano dimostrato l’attività del sistema enzimatico Akt nelle cellule di cancro del polmone prelevate da fumatori i ricercatori hanno ipotizzato che composti come la Nicotina e NNK potessero avere effetto sul sistema enzimatico Akt anche nelle cellule normali del polmone. Il sistema enzimatico serina/treonina kinasi Akt regola diverse attività cellulari come la crescita cellulare e l’apoptosi. L’ipotesi formulata dai ricercatori è che le cellule con danni al DNA in presenza di Akt attivata possono più facilmente sopravvivere e crescere e quindi possono accumulare altri danni al DNA promuovendo la trasformazione da cellule precancerose a cellule cancerose. I risultati dello studio hanno dimostrato che le concentrazioni di nicotina e di NNK pari a quelle che si raggiungono nel sangue dei fumatori attivano la cascata enzimatica dell’Akt. L’attivazione dell’Akt avviene in pochi minuti e rende le cellule epiteliali normali dell’epitelio bronchiale più simili alle cellule cancerose .L’apoptosi viene inibita e viene stimolata la crescita delle cellule malate .Lo studio dimostra che lo sviluppo del cancro del polmone è più complesso di quanto si pensasse prima e che l’attivazione dei segnali di trasduzione a livello cellulare contribuisce alla cancerogenesi tabacco correlata. Lo studio potrebbe aprire, inoltre ,un nuovo filone di ricerca per farmaci antitumorali. Alcuni hanno suggerito per la nicotina un nuovo meccanismo d’azione nella cancerogenesi che implicherebbe la promozione dello sviluppo dei vasi tumorali. La scoperta che la nicotina possa promuovere la crescita tumorale ha implicazione per i consumatori dei sistemi di rilascio della nicotina? Questi prodotti sono sicuri?

Per quanto emerge dagli studi attuali non ci sono ancora motivi per controindicare l’uso dei dispositivi di rilascio della nicotina per le 10 o 12 settimane previste per la terapia sostitutiva in corso di sospensione del fumo di tabacco e i vantaggi della cessazione del fumo sono senz’altro maggiori dei rischi associati nel breve periodo all’assunzione della nicotina. Oltre tale periodo non possiamo affermare che l’uso della nicotina sia sicuro.

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mercoledì, agosto 16, 2006

Oncologia, "rivoluzione" dai mass-media

La "rivoluzione sanitaria" degli ultimi anni, ha portato il paziente al centro della sanità, ha incoraggiato la comunicazione sociale sulla salute e ridimensionato alcune tematiche come quelle oncologiche. Infatti il Censis, con il Cipomo (Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri), ha condotto un'analisi delle caratteristiche delle comunicazioni oncologiche, con particolare riferimento a quelle condotte "a mezzo stampa" dal 1970 e dintorni (La Repubblica, Corriere della Sera e alcune trasmissioni Rai).

La forte domanda di informazione esercitata dai cittadini su problemi relativi ai tumori si è tradotta in un'offerta sempre più articolata e multiforme. "La comunicazione sulla salute in genere", dice Giorgio Cruciali, neo presidente della Cipomo, "ha assecondato e favorito l'evoluzione del rapporto cittadino-medicina-salute. Il paziente è oggi più consapevole e, grazie ai mass-media, può fare scelte, concordate con il medico, per organizzare una terapia individuale".
I mezzi di informazione illustrano e raccontano le innovazioni in oncologia e i più recente ritrovati anti-tumorali.

Televisioni e giornali, dopo i professionisti del settore, sono le fonti di informazione sanitaria non professionale che, per la loro ascendenza e conoscenza del sociale, finiscono con il modificare il comportamento pubblico de rendendosi uniche e preziose: "Una mutazione", dice Concetta Maria Vaccaro, responsabile del settore Welfare Fondazione Censis, "dovuta all'acquisizione di informazioni su "quella patologia" favorita anche dalla forte differenziazione operata dai quotidiani che riportano più del 20% di articoli legati alla prevenzione oncologica, che superano il 40% quando pubblicati sui settimanali".

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venerdì, agosto 11, 2006

Da un’alga dei mari del nord una difesa per l’utero

La carragenina, usata come addensante alimentare, inibisce l’azione del virus HPV. Verrà studiato un gel vaginale protettivo. da un articolo di :Donatella Barus

MILANO – Si chiama carragenina, si ottiene dalla bollitura di alcune varietà di alghe marine presenti lungo le coste rocciose dei mari del nord ed è ampiamente usata come addensante dall’industria alimentare e cosmetica, con la sigla E407.

Ma ha destato l’interesse anche dei medici perché promette di essere un deterrente contro il papilloma virus umano, in sigla HPV, noto come il principale responsabile delle infezioni che possono portare ad un tumore del collo dell’utero. Un effetto preventivo che la rivista Nature ha definito “sorprendente”, dal momento che il contagio del virus, trasmesso attraverso l’attività sessuale, viene ostacolato anche con una piccola quantità di carragenina, un ingrediente facile da reperire, economico e che pare agire a concentrazioni molto più basse rispetto ai prodotti attualmente in commercio.

I ricercatori del laboratorio di oncologia cellulare del National Cancer Institute di Bethesda (Stati Uniti), hanno scoperto le qualità di questo estratto di alga durante il lavoro di analisi su diversi composti inibitori dell’HPV. La carragenina agisce impedendo al virus di legarsi alle cellule della cervice uterina ed è già in sperimentazione per un analoga capacità di bloccare il virus HIV, responsabile dell’AIDS.

La carragenina è contenuta in diversi tipi di gel lubrificanti vaginali, attualmente in commercio, che vengono classificati come sicuri dalle autorità sanitarie: un aspetto che, come sottolineano gli esperti, avvicina la prospettiva di avere presto a disposizione un microbicida topico in forma di gel. Gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista Public Library of Science Pathogens, specificano che serviranno studi clinici specifici prima di poter raccomandare come inibitore dell’HPV un prodotto a base di carragenina.

Intanto, come dicevamo, proseguono le sperimentazioni anche sul virus HIV, la più importante delle quali coinvolge oltre 5.000 donne in Sudafrica epermetterà di valutare, entro il 2007, l’efficacia di un gel vaginale contenente carragenina per prevenire l’infezione. Come l’AIDS, anche i tumori della cervice uterina (che in Europa e negli Stati Uniti sono stati frenati dalla diffusione degli screening con il PAP test) rappresentano un grave problema per i Paesi meno sviluppati.

Secondo N. K. Ganguly, capo dell’Indian Council of Medical Research, se la carragenina venisse aggiunta ad un inibitore dell’HIV, potrebbe rappresentare un’importante arma preventiva contro le malattie sessualmente trasmesse. Ma altre ricerche sono ancora necessarie.

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sabato, agosto 05, 2006

Terapia chelante

a cura della Dott.Virginia A.Cirolla*

La chelazione e' un processo che s'incontra frequentemente in natura, nel quale metalli inorganici come ferro, platino, formano complessi con la materia organica.

Il suo utilizzo terapeutico ha avuto inizio nel 1893, sulla scia del nobel Werner che ipotizzo' la formazione di un anello stereotrofico, diverso dal modello di valenza, nel processo di chelazione. Nel 1955 il Dott.Clark informava la comunita' scientifica dei benefici dell'EDTA per curare i disturbi circolatori e cardiovascolari. Quel gruppo pionieristico fondo' quella che oggi e' l'ACAM (American College of Advancement in Medicine) e che comprende oltre 1000 medici specializzati nell'uso terapeutico della Terapia Chelante, oltre ad una buona conoscenza dei trattamenti nutrizionali per le malattie vascolari, degenerative e dell'invecchiamento tessutale.

Sono in corso studi ammessi dalla FDA per dimostrare l'innocuita' dell'EDTA. (Etilediaminotetracetato)

Oggi la chelazione e' utilizzata per eliminare dal corpo umano metalli tossici (Piombo, Mercurio, Cadmio, Alluminio) e per fermare il processo di aterosclerosi.

Un meccanismo d'azione consiste nella rimozione del calcio dalla placca aterosclerotica senza sottrarlo la' dove e' fondamentale per i normali processi dell'organismo e stimola la circolazione del sangue attivando il microcircolo.

Eliminando i metalli di transizione produce un effetto antinfiammatorio diminuendo i radicali liberi che sappiamo come molecole distruttive e lesive nei tessuti. Questa terapia inserita nei protocolli SITEC (Societa' Italiana di Terapia Chelante) unisce un insieme di farmaci antiossidanti e disintossicanti, utilizzati oltre che nelle malattie cardiovascolari anche nelle patologie degenerative ed autoimmuni come l'artrite reumatoide e la sclerosi multipla. E' proprio la sclerosi multipla considerata un mercurialismo cronico a risentire in positivo della terapia chelante.

In Oncologia la sua applicazione ha trovato negli ultimi anni risultati positivi per il suo ruolo di protezione immunitaria e si e' rivelata utile sia nella prevenzione sia negli aspetti terapeutici anche dopo cicli di chemioterapia.

Come terapia e' assolutamente innocua se praticata da mani esperte; deve essere somministrata per endovena lenta per tre ore circa con un frequenza media di una volta a settimana. Nella maggior parte dei pazienti in cui e' stata utilizzata, questa terapia ha provocato un miglioramento della circolazione cerebrale e periferica, un miglioramento della memoria e delle capacita' cognitive, della vista per deficit su base vascolare, riduzione significativa della mortalita' per tumore (come terapia preventiva), una disintossicazione dai metalli pesanti ed un beneficio effetto sulla vitalita' e sullo stato di salute in generale.

*Universita' La Sapienza

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