Psicolife - psicologia e psicoterapia a Firenze

venerdì, giugno 23, 2006

Giornata Nazionale del Malato Oncologico

GIUGNO interamente dedicato all'oncologia.

In Italia un milione e seicentomila persone convivono o hanno vissuto con un tumore. Nel 2010 saranno due milioni. La prima Giornata Nazionale del Malato Oncologico domenica, 4 giugno 2006, è la celebrazione della vita da parte di chi ha rischiato di perderla. Simbolicamente rappresentata dal cedro, è dedicata a chi è malato, agli ex malati, a quanti sono sopravvissuti al cancroe alle loro famiglie. La Giornata organizzata dalla Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo) nell'ambito della Campagna d'informazione "Con il malato, contro il tumore", prevede a Roma e Milano spettacoli d'intrattenimento, aree dedicate ai bambini con dimostrazione di clownterapia, dibattiti durante i quali saranno illustrati i risultati ottenuti dal volontariato e incontri tra pazienti, cittadini, oncologi per capire e sapere di più sui tumori.

Chiunque può contribuire con 1 euro inviando un Sms solidale al numero: 48588. Alle tematiche della qualità di vita del paziente oncologico si sono svolti i terzi Stati Generali dei malati di tumore, organizzati dalla Lega Italiana per la Lotta ai Tumori ad Agrigento. "Sappiamo che la risposta organizzativa alla sofferenza del malato e dei suoi familiari", dice Francesco Verdecchia, oncologo medico all'ospedale di Sciacca "è molto disomogenea, debole al Sud più forte al Nord". Tre le vie da battere: percorsi organizzativi con supporti strutturali e psicologici per facilitare i malati; riabilitazione sociale e fisica per i tanti che guariscono attraverso mutilazioni corporee e psicologiche; alimentazione, perché i malati di tumore non mangiano come dovrebbero e il pasto diventa momento di conflitto con i familiari. Mentre bastano piccole strategie per favorire l'appetito, eliminare la nausea ed evitare il vomito. In una parola rendere accettabile la vita di tutti i giorni.La sfida per i medici che ogni giorno lavorano contro il cancro e lo combattono, non è sulla scelta della migliore terapia quanto sul modo più idoneo di parlare e rapportarsi con il paziente e i suoi familiari.

Quando arriva il giorno di incontrare il malato, seduti entrambi ai lati opposti di un tavolo, quello per l'oncologo è il momento della vera sfida. Perché quando si tratta di "dire" o "non dire" le competenze tecniche da sole non bastano più. C'è bisogno di un contesto, di un'organizzazione e, come osserva Manuel Katz, psiconcologo e consulente aziendale di "Suono e Silenzio", società che si occupa di formazione consapevole in oncologia, coordinata da Dr. Massimiliano Zisa, psicologo, "c'è bisogno di "spazio" che i modelli organizzativi aziendali non forniscono agli oncologi né agli infermieri: non possiamo pretendere che siano capaci di farlo senza un aiuto. L'oncologo e il suo staff possono vedere i bisogni del malato solo se qualcun altro si occupa dei loro stessi bisogni". Informare o non informare il paziente con un tumore passa comunque attraverso una comunicazione e significa, nel migliore dei casi, invadere la sfera più intima del malato. "Uno dei punti su cui si lavora di più", racconta Manuel Katz ", è proprio la difficoltà da parte del medico di rispettare l'autonomia del paziente e sapere sin dove poter arrivare.

Gli oncologi italiani sono molto sensibili alla problematica, c'è un'enorme consapevolezza di questo bisogno, stessa cosa per gli infermieri che sono demotivati e poco incentivati. In altri paesi, ad esempio in Israele, c'è un forte supporto psicologico per i pazienti un po' meno per i medici, il vero punto è l'educazione e il modello organizzativo.Ma come si arriva a capire e a soddisfare i bisogni relazionali ed esistenziali del paziente, del medico e dell'infermiere? Come si valorizzano le risorse interiori di ciascuno dei protagonisti? Gli esperti in formazione ricorrono a diversi protocolli di comunicazione dei quali si discute in successivi incontri organizzati per piccoli gruppi.

Questi i punti essenziali:
- Non fare da intermediari
- Necessità di uno spazio specifico
- Verifica cosa il paziente sa già
- Verifica in maniera esplicita cosa il paziente vuole sapere
- Se il paziente vuole sapere condividi l'informazione
- Accogli le reazioni del paziente
- Programma lo stadio successivo
- Verifica tu, medico, come stai prima di proseguire.

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giovedì, giugno 15, 2006

Psiconcologia - Storia

da un articolo di :LUIGI GRASSI, GABRIELLA MORASSO

Nonostante i numerosi e significativi progressi scientifici in ambito oncologico, che hanno sicuramente determinato un netto miglioramento degli approcci terapeutici e un aumento della sopravvivenza dei pazienti, il cancro resta a tutt’oggi oggi una delle malattie a più ampia diffusione ed una delle principali cause di morte in ogni parte del mondo. Nell’immaginario individuale e collettivo il cancro continua, di fatto, ad associarsi a significati di sofferenza fisica e psichica, di morte ineluttabile, di stigma e diversità (l’essere estraneo e straniero), di colpa e vergogna. È quanto Susan Sontag (1979) definisce "bardature metaforiche" che, per il cancro, da sempre risvegliano l’idea di un processo insidioso, misterioso e destruente, divorante e contagioso. È quanto Fornari (1984) identifica nel antinomìa amico-nemico, dove il "nemico" riesce a modificare e ad incidere sugli affetti attraverso impronte inalterabili che permeano le emozioni, i pensieri ed i comportamenti della persona colpita, sia nella sue dimensione individuale che relazionale. È ciò che Tolstoj, nel noto racconto La morte di Ivan Il’ič (1976), coglie nelle parole del protagonista "(…) Il dottore aveva parlato di sofferenze fisiche e a ragione; ma più terribili delle sofferenze fisiche erano le sofferenze morali. (…) Il principale tormento di Ivan era la menzogna (…) che non volessero riconoscere quello che tutti sapevano e che anche lui sapeva (…) e costringessero anche lui ad aver parte alla menzogna". È infine ciò che Maher (1982), riprendendo concetti durkeimiani, coglie sottolineando il senso di anomia attivato dal cancro come evento che interviene bruscamente ed improvvisamente, alterando l’equilibrio individuale e intereprsonale, paralizzando le capacità di regolazione e di riassestamento ed evocando un clima (o un sentimento transpersonale) di incertezza e indeterminatezza.
È su queste basi che si è via via sempre più presentata la necessità di una comprensione allargata e globale delle malattie neoplastiche, come epifenomeno di processi somato-psichici e interpersonale e che ha determinato lo sviluppo della disciplina psiconcologia (Grassi e Morasso, 1998).

IL PASSATO DELLA PSICONCOLOGIA
In realtà è a partire dagli inizi del '900 che la necessità di mantenere una visione globale del paziente affetto da qualunque patologia somatica e di approfondire la conoscenza dei correlati psicologici delle malattie ha comportato una evidente collaborazione tra discipline mediche e psichiatriche. È del 1902 la costituzione, negli Stati Uniti, del primo reparto psichiatrico in un ospedale generale e degli anni '20 la nascita della Psichiatria di Consultazione come branca specificamente rivolta alla valutazione e trattamento di problemi psicologi di pazienti affetti da patologie somatiche. Proprio in tale disciplina, sviluppatasi presto anche in altre parti del mondo, si pongono dunque le premesse per istituire e diffondere modelli teorici e assistenziali applicati alle diverse branche medico-chirurgiche. Tra gli anni '40 e ‘50, l'oncologia, la cardiologia, l'ostetricia e la ginecologia, e la dermatologia, rappresentano le discipline più interessate al fenomeno (Lipowsky, 1986). In esse vengono applicati in maniera diretta e precisa i principi di base della Psichiatria di Consultazione: a) la necessità di valutare l'influenza delle variabili emozionali nell'esordio delle malattie (patogenesi psicosomatica); b) necessità di studiare gli effetti dell'interazione tra fattori psicologici e fattori biologici (psicobiologia); c) la necessità di training educativi del medico a riconoscere i problemi psichiatrici e psicosociali dei pazienti affetti da malattie fisiche, quindi a mettere in atto opportune terapie; d) la necessità, infine, di sviluppare ricerche sperimentali in tali aree.

In ambito oncologico, i paesi anglosassoni hanno avuto, in questo, un ruolo sicuramente di guida. Gli anni ’30 e ’40 preparano il terreno all’ingresso delle discipline psicologico-psichiatriche attraverso la fondazione, nel 1937, del National Cancer Institute (NCI) (http://www.nci.nih.gov/) e della International Union Against Cancer (http://www.uicc.org), mentre l’American Cancer Society (http://www.cancer.org) promuove in questo stesso periodo i primi gruppi di auto-aiuto attraverso il reclutamento e la formazione di pazienti laringectomizzati e colostomizzati, comprendendo l’importanza dell’informazione e del confronto reciproco tra le persone che hanno vissuto la stessa esperienza di malattia (Holland, 1998). Il programma "Reach to Recovery" (http://cope.uicc.org/breast/rri/rri.html), promuovendo il confronto e la solidarietà tra donne operate per cancro della mammella e pazienti si diffonde con successo in molti paesi del mondo. Sono immediatamente successivi i primi esempi dello sforzo compiuto per offrire ai pazienti neoplastici interventi a carattere psicosociale tesi a garantire sollievo rispetto alla sofferenza psicologica secondaria al cancro. L’attivazione di un servizio specifico in questo senso nel 1950 dallo psichiatra Arthur Sutherland presso il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, il lavoro della psichiatra svizzera Kübler-Ross sulle reazioni psicologiche del paziente con cancro in fase terminale di malattia e lo sviluppo di servizi analoghi, nel 1967, da parte di Cicely Saunders, a Londra, presso il St. Cristopher Hospice, rappresentano punti cardine per la Psiconcologia.

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domenica, giugno 11, 2006

Prevenzione del cancro prostata.
a Cura di: Massimo D'Aiuto

U. Veronesi: Maschi, dopo i 50 anni dovete controllare la prostata

E’ l’opinione del professor Umberto Veronesi, direttore scientifico dello Ieo (Istituto oncologico europeo), promotore del movimento "Europa Uomo", analogo a quello già avviato dallo stesso oncologo "Europa Donna" sulla prevenzione del tumore alla mammella. L’iniziativa è sostenuta dalla Lega italiana per la lotta contro i tumori. «Oggi gli uomini possono sottoporsi all’esame del Psa (dal sangue) che riconosce un’eventuale presenza di tumore dell’organo maschile», spiega ancora Veronesi, «anche se crea ancora ansia tra coloro che vi si sottopongono perché riconosce tutte le malattie della prostata e non solo il tumore». Tra i Paesi che hanno già aderito ad "Europa Uomo" figurano Francia, Germania, Belgio, Gran Bretagna, Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Norvegia, Svezia e Danimarca. Per l’oncologo italiano, ex ministro della Sanità, gli uomini dopo i 50 anni devono sottoporsi al test del Psa (prostate specific antigen): «In caso di tumore della prostata, l’intervento chirurgico è favorevole per i sessantenni ai quali è stato riscontrato precocemente; per gli ultra settantenni, invece, conviene un trattamento con la radioterapia conformazionale che attraverso una Tac riesce a seguire esattamente la conformazione dell’organo malato senza intaccare gli altri tessuti. Dei 500 casi seguiti finora, con questa terapia, il 98 per cento è guarito». Tra le altre novità anche la terapia con i protoni e gli ioni al carbonio. I tumori della prostata sono in crescita in tutto il mondo e il trend cresce proprio per l’aumento della popolazione anziana. L’Italia nel 2000 ha stabilito il record di anzianità tra i Paesi occidentali con 14,8 anziani su 100 giovani e sono 9.303.000 i maschi over 50. Solo però il 22 per cento degli uomini tra i 50 e i 70 conosce il Psa che negli Stati Uniti è conosciuto dal 48 per cento degli uomini. Lazio, Puglia e Lombardia saranno le regioni pilota del progetto che dovrà coinvolgere gli uomini appunto sulla prevenzione del tumore della prostata. «La Lega italiana per la lotta contro i tumori», chiarisce il presidente, professor Francesco Schittulli, «formerà il personale sanitario sulle campagne di prevenzione e renderà operativi i propri ambulatori territoriali per la diagnosi precoce». «Questo cancro rappresenta il 15 per cento di tutti i tumori maschili ed è», avverte il professor Louis Denis, di Anversa, urologo di fama mondiale e consulente di Europa Uomo, «il secondo per mortalità dopo quello polmonare. Nel mondo il 30 per cento degli uomini sopra i 50 anni contrae questo tumore, circa il 10 sviluppa la malattia e il 3 per cento muore. L’intervento può portare all’incontinenza nel 550 per cento dei casi, e all’impotenza nel 3080». Le differenze numeriche delle complicanze dipendono dalla bravura del chirurgo.

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giovedì, giugno 08, 2006

Quell' invisibile terapia del dolore

Secondo un recente sondaggio, quattro persone su cinque non sanno neppure che in Italia esistono specialisti e di ambulatori ad hoc.
articolo di :
Donatella Barus


MILANO
– Negli ultimi anni il consumo dei farmaci a carico del Sistema Sanitario Nazionale per il trattamento del dolore è quasi triplicato e la spesa per questi medicinali è raddoppiata, ma 4 italiani su 5 neppure sanno che esistono medici e centri specializzati in questo settore.
Dai dati di un sondaggio condotto dalla Ipsos a metà maggio, infatti, solo il 22 per cento degli intervistati è a conoscenza del fatto che ci sono terapie mirate a lenire la sofferenza dei malati, e si tratta perlopiù di donne (non a caso, le più coinvolte nell’impegno di cura di anziani e infermi), di persone istruite, con uno status socio-economico elevato e residenti nelle regioni settentrionali. Spicca una forte carenza di informazioni, invece, nel centro-sud e tra i più giovani, che in larga parte ancora non hanno dovuto confrontarsi con queste problematiche. In generale, poi, la terapia del dolore in Italia continua ad avere il sapore di un’occasione mancata, per cui 24 persone su cento hanno avuto esperienza diretta (personale o di un familiare) di un dolore cronico, ma soltanto la metà, il 12 per cento, dichiara di avere fatto ricorso a cure antalgiche specifiche.
Questo quadro, che illustra bene quanto ci sia ancora da fare sul fronte dell’informazione per i pazienti e le loro famiglie, è stato delineato in occasione della presentazione della Quinta Giornata nazionale del Sollievo, promossa dalla Fondazione Nazionale “Gigi Ghirotti”, dal ministero della Salute e dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e prevista quest’anno per domenica 28 maggio. Scopo dell’iniziativa (vedi gli eventi nelle diverse Regioni) è proprio aumentare la soglia di consapevolezza e di sensibilità sul diritto a non soffrire e, al tempo stesso, intaccare la barriera di solitudine e isolamento che imprigiona molti malati, anche oncologici.
Insiste sull’informazione dei cittadini anche il neo-ministro della Salute LiviaTurco, che domenica ha inaugurato il suo mandato celebrando la Giornata presso il Policlinico Gemelli a Roma e che in un messaggio a Bruno Vespa, presidente della Fondazione Ghirotti, afferma di voler affrontare le evidenti «difficoltà di orientamento» dei pazienti: «Si fa fatica - dice - ad entrare in possesso delle informazioni giuste, a sapere con certezza quale è la struttura più idonea alla quale rivolgersi, qual è il percorso più virtuoso». E stila una lista delle cose da fare «con urgenza», includendo la «sburocratizzazione» della prescrizione dei farmaci oppiacei (cioè eliminare l’ostacolo ancora ingombrante del ricettario speciale), l’obbligo dell’aggiornamento per gli operatori, con un occhio di riguardo per i medici di medicina generale, il sostegno all’applicazione negli ospedali delle linee guida per un Ospedale senza dolore, prima fra tutti la misurazione del dolore e la sua registrazione come parametro vitale all’interno della cartella clinica.
Il nostro Paese, in effetti, non riesce a staccarsi dalla posizione di fanalino di coda, in Europa e nel mondo, nelle graduatorie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sull’utilizzazione di farmaci oppiacei, anche se le nuove norme in materia hanno rivoluzionato l’accesso a questo tipo di analgesici. Come dicevamo, la spesa del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in questo settore è passata da 34,5 milioni di euro nel 2004 a 60,9 milioni nel 2005, mentre nello stesso periodo il consumo in dosi dei medicinali per il trattamento del dolore rimborsati ai pazienti è passato da 7,9 milioni a oltre 22 milioni di dosi, secondo l’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco, grazie alla rimborsabilità di nuovi preparati e alla disponibilità di nuove confezioni di medicinali già rimborsati. Unico neo, un calo del consumo di morfina che, sostiene l’AIFA, «rimane il trattamento di base del dolore grave e la cui prescrizione è stata sostituita con farmaci molto costosi per via transdermica (i “cerotti”, ndr), ma non più efficaci o parimenti efficaci della morfina per via orale». Non è estranea a questo stallo una certa ambiguità introdotta dalla nuova legislazione in tema di sostanze stupefacenti che non distingue a dovere tra uso terapeutico e abuso gratuito, stando al parere di addetti ai lavori di tutto rispetto, come Franco Caprino, segretario nazionale di Federfarma, e Franco Henriquet, anestesiologo genovese da vent’anni anima della Fondazione Ghirotti.

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