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giovedì, aprile 15, 2010

Il problema della malattia non è quanto ma come vivere

Tratto da: La Nazione

Firenze, 7 marzo 2010 - Il mio primo impatto con la città di Firenze non fu uno dei più memorabili: entrai infatti al CTO per una biopsia al perone, da cui uscì una diagnosi di osteosarcoma. Da lì fui trasferito al vecchio Meyer e il passaggio da un ambiente spazioso come il Careggi ad uno claustrofobico, come il reparto di oncologia pediatrica di allora, influenzò notevolmente l’approccio al periodo delle cure.

Undici mesi a contatto con una realtà apparentemente estranea alla vita eppure così legata ad essa; non c’è da stupirsi se mi sono ritrovato a percorrere un sentiero senza alternative: quello della crescita personale.
Il non affidarmi del tutto a questa strada mi aveva spinto a non guardare oltre la natura della sofferenza, natura che avrei dovuto imparare più avanti con Caterina Bellandi, la taxista colorata di “Milano 25”.

Ammetto che all’inizio fui parecchio diffidente nei suoi confronti, ma la volontà (oppure il bisogno) di distaccarmi dalla superficialità di Aprilia, la mia cittadina di provincia, ha fatto nascere un’amicizia che ha per base l’umiltà di imparare dall’altro.

Da allora ogni “supereroe” di “Milano 25”, ragazzi che vivono la mia stessa battaglia contro i tumori, non è altro che il simbolo di come la sofferenza deve essere superata vivendo: Miriam e Yuri hanno incontrato i loro idoli dello spettacolo e dello sport; Gianpaolo che prima della malattia aveva abbandonato la scuola per lavorare, adesso studia come cuoco (suo grande sogno); Michela e Luisa che, approfittando dei controlli periodici, hanno avuto modo di visitare Roma; o ancora Fabio, che durante le terapie si è fidanzato.

Insomma, storie semplicissime che applicate ad un contesto difficile hanno il merito di farci notare come il problema della malattia non è quanto si vive, ma come si decide di vivere.

Questa decisione però non è facile, poiché la mente è frenetica e non è mai proiettata sul momento presente. Tuttavia, se ci accorgiamo che questi pensieri sono condizionati dalla paura di morire e dalle esperienze passate, noi saremo in grado di apprezzare oggi qualsiasi istante fuori dall’ospedale.
Per farlo è sufficiente capire che finché non ci si è dentro, tanto male non si sta...

Luca Pesci


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