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giovedì, settembre 14, 2006

Contro il melanoma le cellule "ogm"

di Silvia Baglioni per conto di :Repubblica

Cento anni fa nasceva la chemioterapia per combattere il cancro, da allora l'oncologia, a piccoli passi, è arrivata lontano. Con questa riflessione si è aperto, a Milano, il convegno Targeted Therapies in cancer: mith or reality?, organizzato da Francesco Colotta del Nerviano Medical Science e da Alberto Mantovani dell'Istituto Clinico Humanitas. E' possibile curare il cancro con terapie sempre più personalizzate, tanto da debellarlo a da trasformarlo in una malattia cronica? Leggendo la stampa scientifica sembrerebbe di sì.

Manipolazione
L'ultimo esempio risale a poche settimane fa. La rivista Science riferiva i risultati di una sperimentazione condotta dall'equipe di Steven Rosenberg, al National Cancer Institute di Bethesda nel Maryland, su 17 malati affetti da gravi forme metastatiche di melanoma (tumore della pelle). Manipolando geneticamente specifiche cellule del sistema immunitario dei pazienti (linfociti T), gli scienziati sono riusciti a guarire due persone che da diciotto mesi non presentano più alcun sintomo. Lo stesso Rosenberg, però, guarda con molta prudenza a questo risultato, anche se è convinto che la terapia con cellule immunitarie, modificate grazie all'ingegneria genetica, rappresenti il futuro.

"Pochi anni fa" spiega Mantovani "lo stesso Rosenberg ha scoperto che, in rari e fortunati casi, il sistema immunitario di alcuni pazienti afflitti da melanoma è in grado di riconoscere le cellule tumorali e di scatenarsi contro di esse, fino a debellare la malattia (remissione spontanea). Questi linfociti possiedono un recettore capace di riconoscere in modo specifico le cellule neoplastiche. Nell'ultima sperimentazione l'equipe statunitense ha prelevato i linfociti dei 17 pazienti, lì ha modificati geneticamente, inserendo il recettore specifico, e lì ha fatti crescere in provetta.

Rosenberg ha ottenuto così un piccolo esercito di "soldati ogm" ben addestrati a combattere il tumore. Attenzione però a non enfatizzare questo risultato troppo esiguo nei numeri e da verificare".Questione di compatibilità"Dal punto di vista tecnico il lavoro è ben fatto" commenta Malcon Brenner del Center for Cell and Gene Therapy di Houston. "Per utilizzare questa metodica in campo clinico sarebbe necessario, però, raggiungere valori di risposta più elevati. Tuttavia non ci si può aspettare grandi numeri: i pazienti che hanno una possibilità di reagire alla cura sono quelli che possiedono un particolare insieme di geni di istocompatibilità (HLA A II), presenti solo nel 50% della popolazione.

Il gruppo studiato a Bethesda possedeva questo tipo di background genetico, ma tuttavia si è avuto un esito positivo solo nel 10% del totale". "Ciò vuol dire che, se i dati sperimentali saranno confermati,", conclude Brenner, "solo un esiguo numero di pazienti potrà beneficiare di questa terapia. Va da se che un approccio immuno-mediato per combattere alcuni tumori, come melanoma, carcinoma renale, tumore dell'intestino, linfoma, leucemia e forse mieloma, è molto promettente e notevolmente complesso".

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