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lunedì, dicembre 11, 2006

Troppe proteine? Rischio di tumori

Assumere meno proteine potrebbe ridurre il rischio di sviluppare alcune forme tumorali che non sono associate all’obesità, quali il cancro alla prostata e il tumore della mammella nelle donne in età premenopausale. Lo sostiene uno studio condotto alla Washington University School of Medicine in St. Louis e coordinato da Luigi Fontana, del Dipartimento di Sanità alimentare ed animale dell’ISS e pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition.

“Prevenire le malattie cronico-degenerative associate agli scorretti stili di vita ed implementare strategie in grado di promuovere un invecchiamento ottimale è una sfida importante per il futuro e uno degli obiettivi della ricerca del nostro Istituto, tanto più che è sempre più evidente come l’incremento della vita media della popolazione italiana non sia accompagnato da un parallelo miglioramento della qualità di vita", spiega Enrico Garaci, Presidente dell’ISS. "Proprio per questo motivo, apriremo all’ISS un Centro, dotato di una sorta di ‘cucina metabolica’, di una palestra e di ambulatori, dove studiare i meccanismi attraverso cui una corretta alimentazione e l’esercizio fisico rallentano l’invecchiamento di organi e tessuti nell’uomo e prevengono le malattie croniche-degenerative in soggetti che non hanno ancora subito danni organici irreversibili”.

I ricercatori hanno preso in esame tre gruppi di individui pareggiati per età e per sesso: 21 vegetariani crudisti che assumevano una media giornaliera di 0.73 grammi di proteine per chilogrammo di peso corporeo, 21 atleti specializzati nella corsa di resistenza, allenati a percorrere poco meno di 80 km alla settimana e nella cui dieta erano compresi 1.6 grammi di proteine giornaliere per chilogrammo di peso corporeo e un gruppo di persone sedentarie che assumevano una tipica dieta americana con 1.23 grammi di proteine per chilo di peso.

“La stretta correlazione tra alimentazione e alcune delle più comuni forme di cancro è un’ipotesi abbastanza fondata", afferma Luigi Fontana, ricercatore dell’ISS e coordinatore dello studio. "I meccanismi, tuttavia, attraverso cui i diversi alimenti promuovono o proteggono dal cancro non sono ancora chiari. E’ ormai assodato che le persone in sovrappeso ed obese hanno un aumentato rischio di sviluppare il cancro del colon, dell’endometrio, del rene, dell’esofago e della mammella soprattutto dopo la menopausa. Esistono tuttavia due forme tumorali che non sono associate all’eccessivo accumulo di grasso: il cancro alla prostata e il tumore della mammella nelle donne in età premenopausale”. Dalla ricerca è emerso che una dieta ipoproteica potrebbe essere in grado di proteggerci da queste forme di cancro più dell’esercizio fisico, indipendentemente dalla quantità di grasso corporeo.

“Nel corso della nostra indagine abbiamo constatato che sia gli individui che praticavano da lungo tempo un regime alimentare caratterizzato da un basso apporto proteico nell’ambito di una dieta relativamente ipocalorica, sia gli atleti, abituati a svolgere attività fisica con regolarità e precisione, mostravano un basso contenuto di grasso corporeo e di conseguenza dei valori più bassi d’insulina, di testosterone libero e di citochine pro-infiammatorie. L’apporto proteico giornaliero corretto secondo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dovrebbe essere di 0.8 grammi/Kg/die di proteine, che è molto simile a quello che gli individui che seguono la dieta ipoproteica arruolati nello studio mangiano, mentre molti americani e molti italiani mangiano 1.2 - 1.6 grammi/Kg di proteine al giorno", afferma Fontana, "cioè mangiano circa il 30 - 50 per cento in più di ciò che è raccomandato dagli esperti. E’ ormai chiaro che se aumentiamo del 30 - 50 per cento rispetto al fabbisogno le calorie introdotte giornalmente diventiamo obesi, tuttavia, paradossalmente, non sappiamo cosa succede se mangiamo cronicamente più proteine di quelle che sono necessarie per mantenere un bilancio azotato neutro. Il problema è che nei paesi industrializzati, e purtroppo ora anche in quelli in via di sviluppo, non si mangiano quantitativi sufficienti di verdura, legumi, cereali integrali e frutta, di conseguenza la nostra dieta si compone troppo spesso prevalentemente di prodotti di origine animale (carne, formaggio, uova e burro), cereali eccessivamente raffinati e zuccheri semplici, che a lungo andare sono deleteri per la salute perché estremamente calorici e perché troppo ricchi di proteine e sale, caratteristiche queste che costituiscono potenti fattori di rischio per l’obesità addominale, per il diabete, per l’ipertensione arteriosa, per le malattie cardiovascolari e per taluni tipi di cancro”.

Fonte: Ufficio stampa ISS 2006.
A cura de Il Pensiero Scientifico Editore

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Quando si dice fumarsi il cervello...

La nicotina è responsabile di cambiamenti nel metabolismo del cervello, che sono probabilmente il campanello d’allarme di un funzionamento alterato. Lo fa sospettare uno studio condotto in Germania e illustrato in anteprima presso il convegno annuale della Radiological Society of North America.

Che il fumo non faccia bene alla mente non è un’idea nuova. La dipendenza dal fumo, come tante altre dipendenze, avviene proprio perché le sostanze prodotte dalla sigaretta vanno a stimolare una risposta in certe aree cerebrali, ad esempio quelle preposte alla percezione del dolore e del piacere. Con le attuali tecniche di imaging i ricercatori sono in grado di "vedere" ciò che avviene nel cervello mentre si pensa, si compie un’azione, si prova un’emozione o si assume una sostanza; così grazie a una moderna tecnica che permette di studiare in tempo reale la concentrazione nel cervello di sostanze neuroattive prodotte dal metabolismo, alcuni ricercatori dell’Università di Bonn sono riusciti ad analizzare come il metabolismo cerebrale viene alterato a causa dell’abitudine al fumo.

Sono state prese in esame diverse sostanze naturalmente prodotte durante l’attività cerebrale. I soggetti fumatori, sottoposti a questa tecnica d’avanguardia per l’imaging cerebrale, hanno mostrato alterazioni nella concentrazione di tali sostanze. Ad esempio la creatina totale, che altri studi hanno notato essere legata al rischio di ricadute in soggetti dipendenti da sostanze d’abuso, è più elevata nei lobi frontali del cervello dei fumatori. Sono risultati invece a concentrazioni più scarse del normale altri due prodotti del metabolismo cerebrale: la colina, importante per salute delle membrane cellulari, e l’N-acetilaspartato, che scarseggiava nell’area cerebrale reattiva alle sensazioni piacevoli o dolorose. In particolare, la colina era a livelli bassi soprattutto nelle donne fumatrici, mentre l’N-acetilaspartato era tanto più scarso quante più sigarette il soggetto fumava in un anno.

Gli autori della ricerca hanno fatto notare come, in base a precedenti studi, la bassa concentrazione di queste sostanze nel cervello spesso si riscontri in soggetti sofferenti di disturbi dell’umore e di altre patologie psichiatriche, il che getta un’ombra ulteriore sugli effetti che questo "vizio" tanto comune provoca a livello cerebrale, invitando a non prendere sottogamba quest’abitudine e prestare maggiore attenzione alla salute del proprio cervello.

Fonte: RSNA 2006: Strenghtening professionalism. 2-8 dicembre 2006, Chicago.

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